Strage sulla Marmolada: panico sulle Dolomiti
- Il Napoletano Espanso
- 11 lug 2022
- Tempo di lettura: 3 min
di Alessandro Terracciano

Se è vero che l’essere umano è sempre stato animato, sin dalle origini, dal desiderio di
esercitare una sorta di dominio e di controllo sulla natura, talvolta quest’ultima a fine
partita dimostra di avere la meglio. Lo dimostra l’indicibile sterminio che ha
interessato la giornata di domenica 3 luglio: alle ore 13.45 circa, sul versante trentino
del massiccio montuoso della Marmolada, nei pressi di Punta Rocca, dopo un rumore
come di un uragano, una potente ed enorme onda scura alta 60 metri e larga 200,
composta da ghiaccio, terra e rocce, si è abbattuta alla velocità di 300 km/h su due
cordate, composte da venti giovani escursionisti. Si tratta di un crollo senza precedenti
nella storia delle Alpi: simile ad un torrente esondato, il cedimento del seracco ha
interessato un’area di 2 km².
Così, all’indomani della catastrofe naturale più disastrosa della storia delle Dolomiti,
partono le ricerche e le indagini da parte del Soccorso alpino nazionale e della
Protezione Civile di Canazei: attualmente, il ghiaccio restituisce alla luce ben 7
cadaveri travolti dalla valanga; restano 8 i feriti in ospedale e 5 i dispersi. “Le ricerche
devono assolutamente continuare - afferma il presidente nazionale del Soccorso alpino
Maurizio Dell’Antonio, illustrando ai giornali il piano della settimana - Abbiamo
programmato per i prossimi giorni il sorvolo con droni: in caso di individuazione di
qualsiasi reperto, si va lì molto velocemente, si fa una sorta di documentazione
fotografica, si prende il reperto e si va via. Terremo monitorato il pendio giorno e
notte e si va solo a recuperare qualcosa in superficie. Non possiamo nemmeno più
scavare, la massa di neve si è talmente consolidata che non si può incidere nemmeno
con un piccone”. Infatti, ormai non si possono sottovalutare eventuali rischi di nuovi
cedimenti, considerando che il disastro verificatosi domenica è avvenuto, a quota
3.250 metri, ad una temperatura di 10,7 gradi, come testimoniano le centraline Arpav.
“Definirla tragedia annunciata mi sembra davvero estremo: non credo lo sia parlare di
sottovalutazione generale del rischio di una simile sciagura, considerando la carenza
di pioggia, il caldo insistente e la siccità anche in quota da mesi. Dieci gradi a quella
quota è una temperatura incredibile, è più di un sintomo che qualcosa non va. Infatti, è
così che il permafrost scivola, causando la nascita sotto il ghiaccio di veri e propri
fiumi d’acqua che travolgono tutto ciò che si trova sul loro corso”. Queste le parole
dell’alpinista ed esploratore trentino Reinhold Messner, precursore dell’arrampicata
libera e il primo uomo ad aver scalato tutte le 14 cime della Terra che superano gli
8000 metri di altezza. “Mi hanno detto che nell’ultimo mese, per 25 giorni lo zero
termico sulla Marmolada è stato oltre quota tremila. Certamente va detto che i
seracchi cadono da sempre, ma negli anni Sessanta e Ottanta il pericolo che accadesse
era di gran lunga minore”, aggiunge Messner.
E con queste parole concordano numerosi glaciologi e climatologi, i quali diffondono
studi e previsioni da anni, soprattutto attraverso il rapporto IPCC, il panel scientifico
delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Infatti, secondo il più recente Catasto
dei ghiacciai italiani, la superficie dei ghiacciai sarebbe passata dai 519 km² degli
anni ‘60, ai 609 km² degli anni ‘80, agli attuali 368 km². Parallelamente a ciò, il
numero dei ghiacciai è aumentato considerevolmente: a fronte degli 824 nel 1962 e
degli 1,389 nel 1989, oggi se ne contano circa 903. L’aumento rispetto al 1962
costituisce un segnale di pericolo non irrilevante, poiché causato dalla massiccia
frammentazione che ha interessato numerosi sistemi glaciali complessi, riducendoli in
vari singoli ghiacciai più piccoli per dimensione. Ma a ridursi è stato anche lo
spessore di tali ghiacciai, che in una sola estate può assottigliarsi anche addirittura di 6
metri. Inoltre, secondo questi rapporti, se a ciò si abbina anche l’esponenziale
aumento delle temperature negli ultimi anni, i ghiacciai sotto i 3.500 metri delle Alpi
Centrali e Orientali, oltre che dell’Himalaya e del Pakistan, sarebbero destinati nel
giro di 20-30 anni a ridursi ancora di più, o addirittura a sparire del tutto. E accanto a
ciò, potrebbe anche aumentare il pericolo dei cosiddetti glacier hazards, cioè i rischi di
valanghe o di alluvioni catastrofiche legati all’azione diretta del ghiaccio e della neve.
Insomma, si dispone di molti dati e analisi: mancano solo i fatti. Ecco che dunque il
tragico evento accaduto sulla Marmolada rappresenta una nuova occasione per tornare
a parlare di inquinamento atmosferico e di cambiamenti climatici. In particolare, al
governo si chiede di agire su due fronti: sul fronte della mitigazione (cioè
dell’abbattimento delle emissioni di gas climalteranti) e dell’adattamento (cioè delle
misure per porre rimedio ai danni e agli impatti già in atto), per evitare che simili
carneficine non si ripetano più. I ghiacciai infatti sono di vitale importanza, in quanto
con la loro assenza verrebbe a mancare anche la vita dei torrenti e dei fiumi, con gravi
conseguenze sulle attività economiche nazionali e sull'approvvigionamento idrico.
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