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Strage sulla Marmolada: panico sulle Dolomiti

di Alessandro Terracciano



Se è vero che l’essere umano è sempre stato animato, sin dalle origini, dal desiderio di

esercitare una sorta di dominio e di controllo sulla natura, talvolta quest’ultima a fine

partita dimostra di avere la meglio. Lo dimostra l’indicibile sterminio che ha

interessato la giornata di domenica 3 luglio: alle ore 13.45 circa, sul versante trentino

del massiccio montuoso della Marmolada, nei pressi di Punta Rocca, dopo un rumore

come di un uragano, una potente ed enorme onda scura alta 60 metri e larga 200,

composta da ghiaccio, terra e rocce, si è abbattuta alla velocità di 300 km/h su due

cordate, composte da venti giovani escursionisti. Si tratta di un crollo senza precedenti

nella storia delle Alpi: simile ad un torrente esondato, il cedimento del seracco ha

interessato un’area di 2 km².


Così, all’indomani della catastrofe naturale più disastrosa della storia delle Dolomiti,

partono le ricerche e le indagini da parte del Soccorso alpino nazionale e della

Protezione Civile di Canazei: attualmente, il ghiaccio restituisce alla luce ben 7

cadaveri travolti dalla valanga; restano 8 i feriti in ospedale e 5 i dispersi. “Le ricerche

devono assolutamente continuare - afferma il presidente nazionale del Soccorso alpino

Maurizio Dell’Antonio, illustrando ai giornali il piano della settimana - Abbiamo

programmato per i prossimi giorni il sorvolo con droni: in caso di individuazione di

qualsiasi reperto, si va lì molto velocemente, si fa una sorta di documentazione

fotografica, si prende il reperto e si va via. Terremo monitorato il pendio giorno e

notte e si va solo a recuperare qualcosa in superficie. Non possiamo nemmeno più

scavare, la massa di neve si è talmente consolidata che non si può incidere nemmeno

con un piccone”. Infatti, ormai non si possono sottovalutare eventuali rischi di nuovi

cedimenti, considerando che il disastro verificatosi domenica è avvenuto, a quota

3.250 metri, ad una temperatura di 10,7 gradi, come testimoniano le centraline Arpav.


Definirla tragedia annunciata mi sembra davvero estremo: non credo lo sia parlare di

sottovalutazione generale del rischio di una simile sciagura, considerando la carenza

di pioggia, il caldo insistente e la siccità anche in quota da mesi. Dieci gradi a quella

quota è una temperatura incredibile, è più di un sintomo che qualcosa non va. Infatti, è

così che il permafrost scivola, causando la nascita sotto il ghiaccio di veri e propri

fiumi d’acqua che travolgono tutto ciò che si trova sul loro corso”. Queste le parole

dell’alpinista ed esploratore trentino Reinhold Messner, precursore dell’arrampicata

libera e il primo uomo ad aver scalato tutte le 14 cime della Terra che superano gli

8000 metri di altezza. “Mi hanno detto che nell’ultimo mese, per 25 giorni lo zero

termico sulla Marmolada è stato oltre quota tremila. Certamente va detto che i

seracchi cadono da sempre, ma negli anni Sessanta e Ottanta il pericolo che accadesse

era di gran lunga minore”, aggiunge Messner.


E con queste parole concordano numerosi glaciologi e climatologi, i quali diffondono

studi e previsioni da anni, soprattutto attraverso il rapporto IPCC, il panel scientifico

delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Infatti, secondo il più recente Catasto

dei ghiacciai italiani, la superficie dei ghiacciai sarebbe passata dai 519 km² degli

anni ‘60, ai 609 km² degli anni ‘80, agli attuali 368 km². Parallelamente a ciò, il

numero dei ghiacciai è aumentato considerevolmente: a fronte degli 824 nel 1962 e

degli 1,389 nel 1989, oggi se ne contano circa 903. L’aumento rispetto al 1962

costituisce un segnale di pericolo non irrilevante, poiché causato dalla massiccia

frammentazione che ha interessato numerosi sistemi glaciali complessi, riducendoli in

vari singoli ghiacciai più piccoli per dimensione. Ma a ridursi è stato anche lo

spessore di tali ghiacciai, che in una sola estate può assottigliarsi anche addirittura di 6

metri. Inoltre, secondo questi rapporti, se a ciò si abbina anche l’esponenziale

aumento delle temperature negli ultimi anni, i ghiacciai sotto i 3.500 metri delle Alpi

Centrali e Orientali, oltre che dell’Himalaya e del Pakistan, sarebbero destinati nel

giro di 20-30 anni a ridursi ancora di più, o addirittura a sparire del tutto. E accanto a

ciò, potrebbe anche aumentare il pericolo dei cosiddetti glacier hazards, cioè i rischi di

valanghe o di alluvioni catastrofiche legati all’azione diretta del ghiaccio e della neve.


Insomma, si dispone di molti dati e analisi: mancano solo i fatti. Ecco che dunque il

tragico evento accaduto sulla Marmolada rappresenta una nuova occasione per tornare

a parlare di inquinamento atmosferico e di cambiamenti climatici. In particolare, al

governo si chiede di agire su due fronti: sul fronte della mitigazione (cioè

dell’abbattimento delle emissioni di gas climalteranti) e dell’adattamento (cioè delle

misure per porre rimedio ai danni e agli impatti già in atto), per evitare che simili

carneficine non si ripetano più. I ghiacciai infatti sono di vitale importanza, in quanto

con la loro assenza verrebbe a mancare anche la vita dei torrenti e dei fiumi, con gravi

conseguenze sulle attività economiche nazionali e sull'approvvigionamento idrico.

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