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Strage in una scuola elementare in Texas: quando si potrà voltare pagina?

di Alessandro Terracciano



Ho subito compreso che ciò che stava accadendo era reale. Abbiamo spento le luci e ci siamo nascosti in fondo alla classe riparandoci sotto i banchi, al segnale di una maestra con la maglietta viola che è venuta a dirci di nasconderci. Sentivamo botti forti, come se qualcosa stesse scoppiando, come se ci fossero i fuochi d’artificio. La notte dopo ero un po’ spaventato e ho dormito con mamma e papà; adesso le armi mi fanno paura, temo che qualcuno mi possa sparare da un momento all’altro”. Queste le parole rotte dal pianto di Edward, bambino di otto anni, che testimoniano la tragedia della strage consumatasi nella giornata del 24 maggio, in una scuola elementare (la Robb Elementary School) della cittadina di Uvalde, in Texas.


Dopo aver parcheggiato l’auto, un ragazzo con un giubbotto antiproiettile si è avviato a piedi verso l’istituto, portando con sè un fucile e una pistola semiautomatica. Barricatosi nella scuola ha iniziato a sparare, uccidendo sul colpo quattordici bambini e un insegnante, quindici vittime in totale. Il killer, a sua volta, è stato ucciso all’arrivo della polizia sul luogo del delitto. Se queste sono le prime notizie ad essere state diffuse, tra il pomeriggio e la sera dello stesso giorno il bilancio delle vittime peggiora, salendo a 22 morti, di cui 19 bambini e tre adulti, compreso l’attentatore, di cui oggi conosciamo l’identità: Salvador Ramos, un ragazzo diciottenne, figlio di una madre tossicodipendente, studente delle superiori dello stesso complesso in cui ha sparato.


Si tratta di uno sterminio che ha scosso il mondo intero, e soprattutto gli Stati Uniti, in quanto questa strage ha riportato alla mente degli americani alcuni dei massacri più violenti che si siano verificati negli ultimi decenni, facendo sì che diventassero sempre più numerose le famiglie di chi ha perso fratelli, figli, nipoti, amici: basti pensare alle sparatorie scolastiche di Sandy Hook in Connecticut, Parkland in Florida, Santa Fe in Texas, Roseburg in Oregon, per non parlare di Columbine e Virginia Tech.

Intanto, a causa di simili carneficine, il numero dei morti aumenta progressivamente, e le criticità della situazione sono evidenti nelle parole che il presidente democratico Joe Biden ha pronunciato rivolgendosi al popolo americano in seguito alla strage. Egli, infatti, aveva già assistito da vicepresidente al massacro di ventidue persone nella scuola elementare di Sandy Hook del 2012, arrivando a definire quel periodo come uno dei più bui degli otto anni di presidenza di Barack Obama. Affiancato dalla First Lady Jill Biden, oltre ad aver richiesto al Congresso di lavorare ad una legge di “buon senso”, il presidente ha dichiarato: “Sono stanco, dobbiamo agire sulle armi. L’idea che un 18enne possa entrare in un negozio e acquistare una qualsiasi arma è sbagliata. Perché queste sparatorie non si verificano in altre parti del mondo?” prosegue Biden: "Perché vogliamo vivere con queste careficine? Ora è il momento di trasformare il dolore in azione e agire sulle armi. Come nazione dobbiamo chiederci, in nome di Dio, quando ci opporremo alla lobby delle armi?”.

Un’altra critica alla possibilità per tutti negli Usa di acquistare armi automatiche e da combattimento emerge anche nel discorso rilasciato dalla direttrice dell’Unicef Catherine Russell, la quale ha voluto evidenziare: “Ancora una volta dei bambini sono stati attaccati e uccisi a scuola, l’unico luogo al di fuori delle loro case dove dovrebbero essere più al sicuro. Questa volta è successo a Uvalde, in Texas. Dove accadrà la prossima volta? Credo che quest’anno abbiamo già assistito a terribili attacchi alle scuole in Afghanistan, negli Stati Uniti, in Ucraina e in vari altri luoghi. Tragedia dopo tragedia, sparatoria dopo sparatoria, giovane vita dopo giovane vita: quanti altri bambini moriranno prima che i leader del governo agiscano per tenere al sicuro le loro vite e le loro scuole?”.

Dunque, gli Usa sono l’unico Paese in pace (almeno internamente) dove si verificano ancora episodi simili e in cui la politica texana e statunitense non dà segni di voler recidere il cordone che la lega alla cosiddetta “lobby” delle armi. Una lobby senza dubbio potentissima negli Stati Uniti, in cui capeggia la NRA (cioè la National Rifle Association), che ha a disposizione una capacità di spesa di oltre 250 milioni di dollari all’anno, nettamente superiore a quanto siano disposte a investire tutte le associazioni che lottano per il controllo e il regolamento delle armi messe insieme.


In conclusione, la strage di Uvalde rappresenta l’ennesimo episodio di sangue con cui si ripropone il confronto tra le posizioni dei cosiddetti “lobbisti” e dei “pro-gun”, e quindi fra due Americhe che leggono e interpretano la questione in modo completamente differente: da un lato l’anima più conservatrice del Paese ritiene che per garantire sicurezza alla società sia necessaria una maggiore circolazione di armi, dall’altro c’è chi ritiene che la società può essere sicura solo nella misura in cui si riduca sensibilmente il numero delle vendite di armi.

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