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Mameli sessista, Dante razzista, Colombo Colonialista…riscriviamo la storia!

Aggiornamento: 19 mar




Mi è stato proposto di cantare l'inno d'Italia prima di una manifestazione sportiva che nel suo essere campione d’inclusività comincia con Fratelli d'Italia” con queste parole la cantante italiana Francamente, giunta quinta all’edizione 2024 di Xfactor,  ha acceso un dibattito sull’attualità del nostro inno nazionale.

 

Ancora una volta ci troviamo davanti ad un’interessante dibattito culturale, derivante da una società sempre più ossessionata dalla forma piuttosto che dal contenuto. Questo confronto tra tradizione e sensibilità porta a farsi alcune domande: dobbiamo rileggere i simboli della nostra cultura con occhi diversi? Oppure il rischio è quello di svuotare la storia del suo significato originario in nome di una corretta forma linguistica?

 

L’inno d’Italia non è un testo di propaganda sessista, né un manifesto patriarcale; è una composizione poetica nata dalla penna di Goffredo Mameli e dalla musica di Michele Novaro. Entrambi giovani, rispettivamente di circa venti e trent’anni, genovesi e sostenitori dell’indipendenza italiana nel periodo del Risorgimento, quando iniziarono le prime rivoluzioni contro l’impero austriaco.

Nel 1847 il giovane Mameli compose una poesia intitolata “Canto degli Italiani”, che pochi mesi dopo sarebbe stata ricevuta da Novaro durante un incontro di indipendentisti a Torino. Quella stessa sera, il compositore ne scrisse la melodia, dando vita a quello che sarebbe diventato il simbolo dell’unità nazionale. Mameli, appena ventenne, non aveva certo in mente di escludere le donne dalla lotta per l'unità d'Italia. Il termine fratelli, infatti, non ha mai avuto un significato di esclusione di genere, ma è anzi un richiamo all'unione di tutti gli italiani, senza distinzioni.

Ciò che preoccupa maggiormente è la tendenza a svuotare la cultura e la storia della loro profondità, sostituendole con una sorta di correttezza formale e parità apparente. La vera inclusione si costruisce con azioni concrete, attraverso opportunità, riconoscimento del merito e della dignità di ogni cittadino. Combattere battaglie di facciata rischia solo di ridicolizzare le lotte reali per i diritti.

 

Come ulteriore segnale di inclusività,, l’inno di Mameli è addirittura uno dei due soli inni nazionali al mondo a citare un’altra nazione; infatti, nell’ultima strofa si fa riferimento alla Polonia:

 

Il sangue d'Italia,  Il sangue Polacco,  Bevé, col cosacco, Ma il cor le bruciò.  Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte  L'Italia chiamò

 

Un rimando che trova un parallelo nell’inno nazionale polacco:

 

Marsz, marsz, Dąbrowski, Z ziemi włoskiej do Polski Za twoim przewodem,Z łączym się z narodem.

(Marcia, marcia Dąbrowski dalla terra italiana alla Polonia Sotto il tuo comandoci uniremo come popolo!)

 

Queste citazioni reciproche derivano da un episodio storico del 1797, cinquant’anni prima della composizione dell’inno di Mameli. Il generale polacco Jan Henryk Dabrowski stipulò un’alleanza con Napoleone combattendo contro le forze aristocratiche che all’epoca si opponevano alla nascita della nuova Repubblica Cispadana. In caso di vittoria, agli alleati polacchi fu promessa la possibilità di riconquistare i loro territori. Il generale Jan mise in versi questa vicenda, dando vita a quello che nel 1927 divenne l’inno nazionale della Polonia.

 

Questo legame storico dimostra come il nostro inno sia nato anche come espressione di solidarietà internazionale, un valore più che mai attuale.

 

Il dibattito sull’uso delle parole nei testi storici è legittimo e necessario, ma dovrebbe essere affrontato con profondità e contestualizzazione, evitando di appiattire la cultura in nome di un’inclusività solo formale. Forse la vera sfida non è eliminare parole o simboli del passato, ma riscoprirli con consapevolezza, imparando da essi per costruire un presente più equo e inclusivo.


E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!

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