Omicidio di Giancarlo Siani: come ragiona un mafioso
- Alessandro Di Giovanni
- 23 set 2024
- Tempo di lettura: 3 min

23 settembre 1985, siamo nel quartiere napoletano dell’Arenella, vicino Piazza Leonardo, ed avviene un omicidio. La vittima è il giornalista Giancarlo Siani, a bordo della sua macchina, che viene ucciso da 10 colpi di pistola alla testa. Gli assassini, a volto scoperto, scappano in moto. Il famoso giornalista d’inchiesta, che si occupava di cronaca nera e lavorava come corrispondente per Il Mattino da Torre Annunziata, aveva pubblicato, lo scorso 10 giugno, un articolo in cui parlava dell’arresto del boss Valentino Gionta, secondo lui possibile grazie alla soffiata del clan dei Nuvoletta, che lo eliminarono per avere una tregua con il potente clan dei casalesi. Poiché nel codice degli uomini d’onore quest’azione era considerata infame, i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, per non passare per coloro che intrattengono rapporti con gli agenti di polizia, decisero di eliminarlo. Poco più di 3 mesi venne così ucciso Giancarlo Siani. Solo nel 1997 verranno condannati all’ergastolo i fratelli Nuvoletta e gli esecutori dell’omicidio.
Questo non fu il primo, e non l’ultimo, caso in cui il giornalismo ha “dato fastidio” ed è, purtroppo, finito in tragedia. Questa però è la vera missione del giornalismo e dei giornalisti: impegnarsi fino in fondo per diffondere la verità, indipendentemente da quale questa sia, ed è sacrosanto che ciò si possa fare in totale libertà.
L’obiettivo della criminalità organizzata, la cui struttura si fonda non solo sui loro affari illeciti, ma soprattutto sull’incutere timore nelle vittime e sull’omertà, è quello di togliere la voce ai giornalisti, togliere la voce a coloro che la usano per denunciare le atrocità del mondo che li circonda. Una volta, ai tempi di Siani, la camorra era disposta ad uccidere pur di apparire forte e potente davanti alla nostra società, oggi invece, questa preferisce agire nell’oscuro, anche infiltrandosi nelle nostre istituzioni, anche occupando le poltrone di comando dello Stato.
Anche oggi assistiamo a giornalisti, scrittori o conduttori televisivi, che sono al centro di polemiche perché nei loro articoli o nelle loro trasmissioni vanno a trattare argomenti politici. Pensiamo al caso che vide Fabio Fazio e Littizzetto inspiegabilmente cacciati dalla RAI e trasferiti al Canale NOVE, secondo molti perché spesso si sono espressi contro le decisioni e le idee dell’attuale Governo sulla televisione nazionale, ipotesi appoggiata dalla chiara soddisfazione di alcuni ministri, come Matteo Salvini, nel vederli uscire dalla RAI. Pensiamo al più recente caso di Antonio Scurati, scrittore celebre per la tetralogia sulla vita di Benito Mussolini e sul regime fascista, di cui il primo “M. il figlio del secolo” ha vinto il premio Strega nel 2019, il cui discorso per il 25 aprile per la trasmissione Che sarà fu censurato dalla RAI e Serena Bortone, la conduttrice della trasmissione, è stata sollevata dal suo incarico.
Questi episodi recenti, e molti altri passati, hanno contribuito ad abbassare la qualità del giornalismo italiano, che oggi tende al titolo sensazionalistico e al pettegolezzo per non attirare le polemiche e per attirare i lettori. Per quanto riguarda i titoli degli articoli ci sono proprio degli addetti, chiamati titolisti, che si occupano di trovare il titolo giusto per attirare più lettori possibili, anche a costo di essere fuorviante, e quindi trarre in equivoco chi legge solo il titolo e non l’intero articolo, come spesso succede sui social media e nei telegiornali.
Questo fenomeno tende ad impoverire la qualità della diffusione delle informazioni, che ora serve solamente per fare più visualizzazioni. Riguardo ai pettegolezzi, anche le più grandi testate si occupano ormai di futile gossip, di cui le masse sono interessate. È sempre più importante trovare lo scoop, al costo di indagare nelle vite private dei VIP, vittime dei paparazzi oppure delle domande indiscrete dei giornalisti. Anche l’etica giornalistica viene meno quando si parla del Dio Denaro.
Questo impoverimento dell’informazione è ciò che vuole la mafia e la camorra, o meglio chi ne condivide il pensiero e il modo di agire. Anche oggi abbiamo dei grandi giornalisti d’inchiesta, pensiamo a Roberto Saviano che non solo attacca le attività criminali ma anche le ingiustizie delle istituzioni e del Governo, finendo più volte in Tribunale, finendo sempre assolto, ancora oggi è sotto scorta, oppure i giornalisti di Fanpage.it, attivi da anni e da poco al centro dei riflettori per “Gioventù Meloniana”, l’inchiesta per le indagini sulle ideologie fasciste presenti nei movimenti giovanili di Fratelli Italia.
Per la memoria di Giancarlo Siani e di coloro che sono morti per la libertà, dobbiamo continuare a scrivere e parlare delle ingiustizie che colpiscono il mondo che ci circonda e fare in modo che nessuno ci tolga la voce, com’è stata tolta a Giancarlo, contro ogni mafia, l’omertà e repressione della libertà di parola.
E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!
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