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Il delitto di Garlasco, una vita rubata, una voce attutita




L’omicidio, come disciplinato dal titolo XII del codice penale, è il delitto consistente nella soppressione di una o più vite umane.


Diversi studi psicologici, invece, individuano l’omicidio come “uno scompenso dell’omeostasi di un individuo e dunque la perdita del controllo consuetudinariamente mantenuto dalla mente umana causato da spinte negative che provengono dall’inconscio o dal preconscio” o ancora come “ atto compiuto da un criminale in cerca di riscatto sociale e di potere”. Il soggetto artefice di assassinio non viene individuato con un preciso profilo psicologico, bensì vengono individuate varie motivazioni tutte diverse che, però, hanno matrici comuni correlate a pulsioni verso l’attuazione del controllo e del comando. L’omicida è, quindi, colui che ruba una vita e osserva la vittima esalare il suo ultimo respiro. La domanda che sorge spontanea è dunque se sia possibile trovare il colpevole di un omicidio senza carpire, attraverso le prove e gli indizi ritrovati nel corso delle indagini, il suo movente. Ci troviamo a Garlasco, in provincia di Pavia, nell’anno 2007 quando, in una calda mattinata di un semplice lunedì di Agosto, in una villetta della famiglia Poggi ,in via Giovanni Pascoli, una vita viene rubata.


Chiara Poggi era una ragazza piena di sogni, con la voglia di vivere che le scorreva nelle vene, racconta la sua famiglia. Si era laureata nell’anno 2006 in economia con 110 e lode ed aveva trovato lavoro nell’ufficio di contabilità di una società pubblica che gestisce le acque a Pavia. Successivamente, a causa di alcune incompatibilità sul luogo di lavoro, viene assunta a Milano dalla Computer Sharing, nei pressi dell’università Bocconi, la stessa università in cui studiava il suo fidanzato. Chiara e Alberto Stasi avevano una relazione da ormai qualche anno e sarà proprio quest’ultimo a trovare il corpo ormai privo di vita della fidanzata, giacente in una pozza di sangue; occhi vitrei e costernati, pelle chiara come porcellana e fredda al tatto, sangue e sangue ancora ovunque. Alberto chiama la polizia e così iniziano le indagini.


Nell’abitazione non sono state rinvenute tracce di effrazione e, inoltre, da ciò che gli inquirenti hanno rinvenuto sulla scena del crimine, come un paio di pantofole bianche abbandonate ai piedi del letto e le stoviglie della sua solita colazione ancora sporche, sembrerebbe che Chiara abbia aperto la porta nonostante sfoggiasse una tenuta casalinga composta da un pigiama a righe rosa e bianche. Si evince dunque che conoscesse il suo aggressore e lei stessa lo abbia invitato ad entrare. L’intervallo dalle 9:12, ora in cui Chiara ha disattivato l’allarme della villa, e le 9:35, ora in cui è stato rinvenuto il cadavere, ci è ancora oggi parzialmente ignoto e i tasselli non sembrano volersi congiungere in una risoluzione univoca. L’alibi del fidanzato, un accesso al computer della sua abitazione alle ore 9:35, non è dunque stato sufficiente a scagionarlo dal capo d’accusa poiché successivo al decesso e quindi, nell’allora 2014, Alberto Stasi diviene indagato.


Nel 2015, dopo due iniziali assoluzioni nei processi di primo e secondo grado, fu ufficialmente condannato. Agli inquirenti il suo discorso parve a tratti illogico e ricco di incongruenze, come per esempio l’assenza di tracce ematiche sulla suola delle sue scarpe, nonostante avesse dichiarato di essere corso verso il corpo della fidanzata senza badare alle pozze di sangue sparse per tutto il corridoio.


Inoltre Stasi era anche il possessore di più biciclette da donna, di cui una corrispondeva parzialmente alla macro descrizione di due testimoni ( Bermani e Travain) che notarono quella mattina, intorno alle 9 e mezza, la presenza di una bicicletta nera da donna vicino alla villetta . Il giudice ha ormai emesso la sua sentenza, è stato Stasi. Il fidanzato è entrato in casa con la luce mattutina che filtrava dalle finestre e il forte profumo della ragazza, da poco uscita dalla doccia a invadere e deliziare l’ambiente, e, guardandola negli occhi, l’ha colpita. L’ha colpita in maniera impassibile, senza alcuna emozione, non una ma molteplici volte con un oggetto pesante mai rinvenuto ( si ipotizza fosse un martello). Poi è uscito di casa, si è cambiato ed è ritornato sul luogo del crimine per denunciare quel delitto che lui stesso aveva compiuto.


Stasi è stato condannato a sedici anni di detenzione presso il carcere di Bollate e al risarcimento della famiglia, la quale ha chiesto come parte civile un milione di euro. I legali di Stasi hanno contrattato per 700.000 euro, di cui già metà al giorno d’oggi sono stati ripagati, (Stasi lavora, infatti, in orario diurno, presso un’azienda come commercialista).


Sul corpo di Chiara erano state rinvenute, inoltre, in particolare nella zona della spalla destra scoperta dal pigiama, delle impronte di cinque polpastrelli che sarebbero state utili per individuare il colpevole se non fosse che il corpo della ragazza riverso nel sangue abbia cancellato quella firma involontaria per sempre. Altre tracce che avrebbero potuto costituire indizi erano dei micro campioni di DNA ritrovati sotto le sue unghie.


Già all’inizio delle indagini, nel 2014, il legale di Stasi aveva proseguito su questa linea poiché l’allora genetista, il professore Francesco De Stefano, aveva sciolto le tracce rinvenute sotto le unghie di Chiara in una soluzione per distinguerne il DNA, scoprendo un campione parziale con aplotipo maschile, ritenuto però inutilizzabile poiché presente in maniera esimia.


Ad oggi, l’indagine è stata riaperta grazie a un’istanza dei legali di Stasi, Antonio de Renzis e Giulia Bocellari, basata su una consulenza del genetista Ugo Ricci, che attribuisce quello stesso DNA ad Andrea Sempo,, amico del fratello di Chiara e visitatore abituale della casa.


L’attuale procuratore di Pavia, Fabio Napoleone, si interroga sugli errori commessi dagli inquirenti nel corso degli sviluppi. Sembrerebbe che coloro che erano a capo dell’indagine abbiano, stranamente, ignorato del tutto la questione del DNA. Ad oggi Andrea Sempio è indagato per omicidio, a causa di nuovi elementi emersi come numerose telefonate fatte al telefono fisso della casa nel periodo, precedente all’omicidio, in cui la famiglia della giovane era in vacanza. Inoltre il numero di scarpe di Sempio (42-42 e mezzo) corrisponde a quello delle suole che hanno calpestato le pozze di sangue a casa Poggi. Inoltre, per convalidare la corrispondenza col DNA rinvenuto sulla scena del crimine, Andrea è stato sottoposto a tampone salivare coattivo dopo essersi rifiutato, come suo diritto, la prima volta. Ad oggi Stasi ha scontato la maggior parte della sua condotta, eppure dopo anni e anni, continua a dichiararsi innocente in una lotta per dimostrare la sua innocenza. Se Stasi fosse effettivamente il colpevole, perché dovrebbe dopo 16 anni ancora fingere di essere innocente? Eppure, in effetti, non è mai stato trovato un movente, una causa, un motivo per cui avrebbe dovrebbe essere arrivato a rapire la vita della sua fidanzata. Dalle testimonianze di coloro che conoscevano la coppia, il loro rapporto non era in crisi e i due, a causa dei diversi impegni, si vedevano di rado nel fine settimana. Condannare Stasi, quindi, è stato uno dei tanti errori giudiziari commessi nel corso della storia italiana ?


Tutti i dubbi che lambiscono l’indagine, si raccordano in uno schema invisibile agli occhi degli inquirenti, in cui a prevalere è il dolore e il cordoglio nei confronti della perdita di una ragazza brillante e dolce. Tutto quello che rimane di lei e della sua esistenza è nei cuori dei suoi cari.


Un attimo può cambiare un milione di vite, o rubarne altrettante. Le strade del destino sono impervie e non semplici da attraversare ed è affascinante come un solo ripensamento dell’ultimo minuto possa incrociare e unire in modo indissolubile due vite umane, condizionare le loro menti e dare vita a scenari eccezionali. Non è invece altrettanto eccezionale come quello stesso attimo possa dipingere la tela bianca della vita di un liquido cremisi capace di squarciare quella stessa tela, aprendo una ferita profonda di sangue che continua a sgorgare imperterrito, alimentato da una sofferenza che non sembra voler trovare pace.

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