Napoli e violenza minorile: una spirale senza fine?
- Ariadna Pisani
- 2 dic 2024
- Tempo di lettura: 4 min

Sono tre gli omicidi che, solo nelle ultime due settimane, hanno macchiato Napoli con il sangue di giovani ragazzi. Un numero che cresce esponenzialmente se guardiamo indietro nei mesi.
La prima vittima di questa sanguinosa serie è Emanuele Tufano, quindicenne del rione Sanità colpito alla schiena da un proiettile mentre si trovava a bordo di un motorino. Le indagini, condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla Procura dei Minorenni, si sono avvalse degli interrogatori di diversi minori coinvolti e delle registrazioni estratte dalle telecamere di sorveglianza.
Questi elementi hanno portato a una parziale verifica dei fatti di quella tragica notte e all’intercettazione di due sospettati, entrambi minorenni. Secondo la ricostruzione, Emanuele avrebbe fatto parte di un gruppo di giovanissimi che, armati e in sella agli scooter, avrebbero oltrepassato i confini del quartiere Mercato e incrociato i “rivali”.
Sarebbe bastato questo incontro a causare la sparatoria che sembra aver coinvolto più di 20 ragazzi e che è costata la vita al giovane Emanuele.
Nonostante l’indignazione per questo omicidio, sono passati solo pochi giorni prima che l’ennesimo episodio di violenza tra giovanissimi scuotesse la città. Questa volta, a perdere la vita è Santo Romano, un ragazzo di 19 anni originario di San Sebastiano al Vesuvio, ucciso nella notte tra l’1 e il 2 novembre.
Anche in questo caso, la dinamica dell’omicidio è emersa grazie alle testimonianze di alcune persone presenti durante i fatti. La sparatoria sembrerebbe essere scaturita da un litigio banale: un amico della vittima avrebbe infatti pestato una scarpa molto costosa al diciassettenne accusato dell’omicidio.
In seguito a questo alterco, il giovane avrebbe estratto la pistola esplodendo i colpi che hanno raggiunto Santo Romano al petto, portandolo al decesso poco dopo in ospedale.
Un suo amico è rimasto ferito al gomito, ma è stato fortunatamente dimesso in tempi brevi. Le indagini hanno portato all’arresto del diciassettenne, che è stato intercettato il giorno successivo al delitto.
Il giovane, già noto alle forze dell’ordine, ha ammesso di aver sparato, affermando di averlo fatto per legittima difesa, versione questa che non ha trovato riscontri tra i testimoni.
Inoltre, la pistola che è stata ritrovata in possesso del sospettato potrebbe essere legata ad ambienti criminali. Il ragazzo si trova ora in un istituto penale minorile in attesa del proseguimento delle indagini.
Dopo due episodi così drammatici, si potrebbe pensare che la spirale di violenza non potesse andare oltre, che si fosse raggiunto una qualche limite. Eppure, la speranza è stata presto contraddetta dalla realtà. Nella notte tra l’8 e il 9 novembre muore il diciottenne Arcangelo Correra, nel cuore del centro storico di Napoli dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola alla fronte. A impugnare l’arma del delitto sarebbe stato Renato Caiafa, diciannovenne amico della vittima, che è stato successivamente fermato per il porto, la detenzione e la ricettazione dell’arma. Caiafa, indagato per omicidio colposo, ha dichiarato di aver trovato l’arma in strada, per caso. Questa versione però non convince gli inquirenti, secondo cui la pistola sarebbe stata già in possesso del gruppo.
Inoltre, resta aperto il giallo su un secondo bossolo ritrovato sulla scena, che non corrisponderebbe alla pistola che ha ucciso Arcangelo Correra. A questi episodi si aggiungono quelli dei giovani gravemente feriti e che per caso o per fortuna non si aggiungono alla lista delle vittime di questa ondata violenta.
La città è dunque segnata da un fenomeno crescente di devianza giovanile che coinvolge sempre più ragazzi, anche minorenni, in atti di violenza che non trovano giustificazione se non nell’influenza di un contesto sociale ed economico gravemente compromesso.
Francesco Giacca, sociologo e educatore, sottolinea che la devianza minorile non può essere ridotta a un atto di ribellione individuale, ma deve essere interpretata come il risultato di un contesto sociale che promuove la violenza come modalità di interazione.
In questo senso, l’approccio giuridico ed educativo deve essere orientato non verso la punizione, ma verso un processo di responsabilizzazione del giovane, che comprenda non solo la condanna dell’atto violento, ma anche un supporto adeguato alla sua reintegrazione nella società.
Se i ragazzi coinvolti nella violenza vengono lasciati soli a fronteggiare le proprie problematiche senza un adeguato sostegno, è inevitabile che il rischio di ricadere in comportamenti devianti resti alto.
Il sindaco della città, Manfredi, ha sottolineato l’importanza di un intervento coordinato che coinvolga non solo le forze dell’ordine, ma anche la comunità e le istituzioni educative. Il primo cittadino ha evidenziato la necessità di monitorare meglio il territorio, soprattutto nelle ore notturne, quando spesso gli episodi violenti si verificano.
Tuttavia, come Giacca suggerisce, il problema non si risolve con una semplice maggiore sorveglianza, ma introducendo interventi che rispondano alle necessità educative e sociali dei giovani. L’approccio alla devianza giovanile deve quindi essere multidimensionale, integrando le risposte della giustizia con quelle dell’educazione e del supporto sociale.
L’educazione deve diventare un presidio fondamentale contro la cultura della violenza, offrendo opportunità concrete per costruire un futuro diverso, al di fuori delle logiche delle bande e della criminalità. Gianfranco Wurzburger, presidente dell’associazione Asso.gio.ca, ha evidenziato la facilità con cui oggi i giovani possono entrare in possesso di armi anche letali, sottolineando quanto il problema sia complesso.
Armi e droghe sono, in questi contesti, a portata di mano, ma le soluzioni devono andare oltre il controllo, puntando su un modello educativo che veda nella comunità e nelle istituzioni un supporto continuo e duraturo.
Così facendo, si vuole offrire ai giovani marginalizzati un’alternativa che non li lasci soli, ma che permetta a ognuno di avere gli strumenti per non cadere nella rete della criminalità. La città di Napoli, come tutta la società, deve affrontare il dramma della violenza giovanile con una riflessione profonda, che coinvolga tutte le parti sociali, per impedire che altri giovani vengano persi in una spirale di morte senza fine.
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