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Michela Murgia: Cosa i giovani dovrebbero imparare da lei

di Alessandro Di Giovanni



Il 10/08/2023, a Roma, muore a 51 anni la scrittrice Michela Murgia, celebre non solo

per i romanzi e i saggi che ha pubblicato, ma anche per le sue opinioni politiche e per

il suo lavoro da attivista. La scrittrice è morta dopo una lunga convivenza contro un

tumore al rene al quarto stadio con metastasi ai polmoni.


Michela Murgia rivelò di avere questa malattia durante un’intervista di Aldo Cazzullo, nel maggio 2023, aggiungendo di avere pochi mesi di vita, previsione poi rivelatasi esatta. L’attivista ha raccontato gli ultimi mesi della sua vita sui social, mostrandosi sempre impavida

davanti alla morte e soddisfatta della breve vita che ha vissuto, facendo capire ai suoi

fan che se ne sarebbe andata senza un rimpianto.


Sebbene Michela Murgia avesse ideologie di sinistra e antimilitariste, e avesse spesso

criticato apertamente il Governo Meloni, e per questo venne spesso accusata di “saper

solo offendere” oppure di “voler vomitare odio sulla destra”, è stata sempre ammirata

anche da chi criticava per il suo carisma e il suo coraggio di dire ciò che pensava.


Molti hanno voluto ricordare la scrittrice, dagli amici e colleghi più stretti come Roberto Saviano e Dacia Maraini, a esponenti politici come Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Carlo Calenda, Elly Schlein e Giuseppe Conte, fino ai membri della sua “famiglia queer”, ossia il secondo marito Lorenzo Terenzi e i 4 figli adottivi che lei chiamava spesso “figli dell’anima”.

Due giorni dopo la sua morte, è stato celebrato il suo funerale nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo a Roma, dove proprio Saviano ha fatto un lungo discorso sul come Michela Murgia, sebbene fosse circondata da una grande famiglia, sia rimasta sola a combattere per le sue ideologie, su come molti abbiano cercato quotidianamente di diffamarla e di disonorarla, e sebbene subisse tutto questo, si preoccupava e si interessava al benessere altrui, senza chiedere mai né aiuto, né conforto, cercando invece di essere il più altruista possibile con chi amava di più.


Uno degli aspetti del suo quotidiano che più ha condiviso sui social è proprio quello della sua “famiglia queer”, ossia una famiglia, che noi definiremmo “allargata” in cui non ci sono effettivi legami di parentela e/o di sangue, lei stessa diceva che in quel contesto sono anacronistiche parole come “marito”, “moglie”, “figli” eccetera eccetera, sebbene le usasse in mancanza di altri vocaboli nella lingua italiana, però in un suo post su Instagram scriverà: “La parola più queer che esista in sardo è ‘sa sposa/su sposu’.


Letteralmente significa ‘fidanzato/fidanzata’, ma nell’uso comune è piegata di continuo a rapporti che col fidanzamento non c’entrano niente (tra nonno e nipote, o tra madre e figlio)”. Questa famiglia è formata dai 4 “figli dell’anima”, Raphael Luis, Francesco Leone, Michele Anghileri e Alessandro Giammei, oltre al marito Lorenzo Terenzi, con cui si era sposata con rito civile, sebbene fosse cattolica, poco prima di morire per ricevere tutti i diritti della coppia che potevano essere concessi solo attraverso il matrimonio. Inoltre vi sono le donne a cui fu molto legata, come Chiara Valerio e Chiara Tagliaferri. Infine considera alcuni dei suoi amici più stretti come persone di famiglia, tra cui il già citato Roberto Saviano, che è stato con lei nella camera d’ospedale fino all’ultimo respiro della scrittrice.


Lei non fu solo appassionatissima scrittrice e attivista, ma fu soprattutto un’appassionatissima lettrice, molto spesso lei ha recensito libri attraverso la TV, i social e i suoi eventi, dai grandi classici del ‘900 come “IT” di Stephen King, che ha ammirato poiché affronta il tema del riscatto sociale degli ultimi, fino ai libri più moderni come

“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino, che affronta invece il tema delle donne nella storia contemporanea.


Fu legatissima alla sua terra, ossia la Sardegna, e per lei era importantissimo che se ne

parlasse senza stereotipi né pregiudizi, lei faceva continui riferimenti alla lingua sarda

per spiegare le sue idee, i suoi elogi ai luoghi bellissimi di questa regione li esprime

nel libro “Viaggio in Sardegna”, che esplora 11 tra le zone dell'isola più amate

dell’autrice.


Altri saggi come “Ave Mary”, “God Save The Queer”, che trattano la figura della

donna e in particolare della Madonna nella religione cattolica, e “Istruzioni per diventare fascisti”, che invece tratta la perpetua possibilità per la nostra democrazia di essere ostacolata dai fascisti e il dovere dei cittadini di pensare e ribellarsi a questi, sono considerati tra i più importanti della bibliografia di Michela Murgia e che meglio

rappresentano la sua ideologia.


Sebbene la bellezza di tutti i titoli nominati, “Accabadora” è considerato il vero capolavoro dell’autrice. Una donna anziana ed una ragazza che vivono come madre e figlia sebbene non lo siano, la donna però è una “femmina accabadora”, ossia una persona che nella arcaica cultura sarda si occupava di uccidere le persone malate senza speranza, rito chiamato appunto “accabadora”, la ragazza scoprirà questo da un suo amico e, inorridita solo al pensiero, si trasferisce a Torino. Ritornerà in Sardegna quando saprà dalla sorella (ricordando che il termine “sorella” non sarebbe stato certo gradito dalla scrittrice, ma anche lei è obbligata ad usarlo) che la donna anziana aveva contratto una grave malattia e sarà accudita dalla ragazza fino alla fine del romanzo, che si chiude senza sapere se quest’ultima sottoporrà la donna all’accabadora. In pratica un romanzo che tratta l’argomento tanto caro alla Murgia della famiglia queer e che basa tutta la sua trama e i personaggi sul tema molto discusso dell’eutanasia.


In chiusura, con Murgia muore una delle figure più controverse e allo stesso tempo vicine agli ideali delle nuove generazioni che avevamo in Italia, che sono aperte ad ogni forma di amore e coesione tra gli individui e tra i popoli. Sempre pronta ad andare contro i dogmi della società dove viviamo con metodi ingegnosi, originali e stravaganti. “Zitta mai” e “Disubbidite” sono stati i suoi motti per antonomasia, che esprimevano la sua voglia di combattere contro i prepotenti che avrebbe portato avanti per cent’anni ancora se ne avesse avuto la possibilità.


Forse però, una possibilità di portare avanti questa sua voglia c’è, facendo in modo che noi, lavoratori, politici, uomini del futuro, ci opponiamo in nome della democrazia e della libertà. Questo avrebbe voluto, e questo faremo.


E tu cosa ne pensi? Dicci la tua!

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