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Intelligenza artificiale alla guida: il futuro è ormai presente

di Alessandro Terracciano



Una grande e tanto attesa competizione quella della Indy Autonomous Challenge, la prima vera sfida tra auto totalmente a guida autonoma. Infatti, questo grande evento è stato davvero sensazionale e unico nel suo genere proprio perchè a gareggiare in pista non sono state delle comuni vetture. Non a caso, il pubblico americano, abituato a corse automobilistiche su circuiti ovali di tutt’altro tipo, è rimasto senza parole. Il circuito di Las Vegas Motor Speedway, negli Stati Uniti, a gennaio 2022 ha visto sfidarsi le monoposto della Dallara, senza nemmeno il posto per il pilota e modificate tramite l’installazione di una piattaforma hardware e software. Dunque, dotate anche di radar, telecamere e computer, è come se queste auto avessero gli occhi per vedere la strada e le curve, e sono così in grado di reagire ad alta velocità, di prevenire eventuali imprevisti e di analizzare gli input, forniti dal personale delle varie università concorrenti. Insomma, di reale vi è solo l’oggetto, gli ingegneri e i piloti; tutto il resto è costituito da modelli matematici estremamente all’avanguardia.


Al termine della gara, la vittoria finale è stata assegnata al team e-Novia PoliMove, nato a seguito della collaborazione tra il Politecnico di Milano e l’Università dell’Alabama, dal momento che la loro monoposto è riuscita a superare, durante un sorpasso, la mitica velocità di 280 km/h. Così, la squadra si porta a casa un premio di 150 mila dollari, dimostrando di essere nettamente superiore al team TUM Autonomous Motorsport dell’Università tedesca di Monaco. Si tratta di una vittoria conquistata con il sudore, tenendo conto dei grandi ostacoli tecnici di questa corsa con cui le 5 squadre in gara, provenienti da ben 5 Paesi in rappresentanza di 7 università, hanno dovuto fare i conti: basti pensare che le futuristiche monoposto unicamente guidate dall’intelligenza artificiale si sono ritrovate a correre a coppie, percorrendo numerosi giri veloci cronometrati. Dopo il successo, il co-fondatore e CEO di e-Novia Vincenzo Russi ha affermato: “Siamo orgogliosi di questo straordinario risultato in una competizione internazionale che ha visto sfidarsi i principali atenei del mondo. Questa è la dimostrazione del livello di preparazione e innovazione che l’Italia può vantare in questo ambito”.


Ma la presenza italiana sul podio non finisce qui, in quanto al terzo posto abbiamo la seconda squadra tricolore che ha partecipato alla competizione: TII Euro Racing, a cui hanno lavorato numerosi ricercatori provenienti dall’università di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con l’Istituto di Tecnologia e Innovazione degli Emirati Arabi Uniti.


In realtà la corsa automobilistica tenutasi a Las Vegas costituisce solo una tappa di una storia e di un progetto che trovano la luce 2 anni fa, quando nello Stato americano dell’Indiana si pensò di organizzare la prima gara da corsa di auto a guida autonoma. Gli organizzatori sono l’Indianapolis Motor Speedway e la società Energy Systems Network. Tra gli obiettivi, c’è sicuramente quello di recuperare i progressi tecnologici raggiunti con la DARPA Grand Challenge, la cui prima competizione si tenne nel 2004. Così, in seguito al mese di maggio, quando moltissimi centri di ricerca scientifica internazionali iniziarono a sfidarsi - e dove a vincere fu già allora il team italiano PoliMove - a ottobre 2021 fu inaugurata la prima vera gara automobilistica nel circuito di Indianapolis. Lo scopo era sicuramente quello di realizzare una competizione definita “head to head” (cioè “testa a testa”), facendo gareggiare due auto su strada contemporaneamente. Si decide poi di rimandare questa gara a gennaio 2022, a Las Vegas.


Ma, al di là dei risultati e degli esiti, sarebbe errato interpretare una gara come quella della Indy Autonomous Challenge come un puro e semplice spettacolo scenografico, ma al contrario rappresenta la prova di come si stia significativamente rivoluzionando il mondo dell’automobile. “E’ come se fosse un campionato monomarca: le macchine sono le stesse. Motori, gomme, elettronica: nulla è cambiato. Non dovevamo competere sull’aerodinamica oppure sulle sospensioni. L’obiettivo è far vedere lo sviluppo di intelligenze artificiali di guida autonoma: è una gara tra piloti” ha spiegato il professore del Politecnico Sergio Matteo Savaresi. Dunque, la vera sfida secondo il docente consiste nel far sì che un pilota virtuale riesca a gareggiare senza che vi sia alcun intervento umano.


Il lavoro di un pilota artificiale si articola attraverso tre fasi: la prima corrisponde alla percezione. Infatti, servendosi di tutti i sensori disponibili, deve riuscire a localizzare la sua posizione e a rilevare alcuni eventuali ostacoli. Segue poi la pianificazione: non basta infatti fornire il percorso al pilota, ma è necessario calcolarlo in base alla velocità-limite che può raggiungere la vettura, senza che perda il controllo del mezzo. Infine, c’è la fase dell’attuazione: affinché l’auto segua la propria traiettoria durante una curva nel miglior modo possibile, è necessario fornire gli input e i comandi giusti alla vettura.


Questa gara non è stata soltanto uno show: il racing è nato per spingere al limite tecnologie immature in contesti controllati. Ciò che si impara poi si trasporta nel mondo dell’auto di serie” ha aggiunto il professor Savaresi. Queste parole sono state riprese anche dal professore del Dipartimento di Scienze Fisiche, Informatiche e Matematiche dell’Università di Modena Carlo Maria Bertoni: “Sfruttando questi casi limite, sviluppando applicazioni che vanno ai limiti della tenuta di strada, riusciamo a esplorare meglio quale è il comportamento dei veicoli e degli algoritmi a determinate velocità. Se siamo in grado di tenerle a quella velocità, poi sarà molto più facile andare ad un ordine di grandezza più basso”. Dunque, per entrambi i team italiani che si occupano da decenni di queste tecnologie, la sfida dell’Indy Autonomous Challenge è stata una grande scommessa, e non solo sul piano tecnologico, ma anche per quanto riguarda la capacità di recuperare fondi da investire nei futuri progetti.


Inoltre, entrambi i professori sono entrambi concordi anche sull’ipotesi per cui in un prossimo futuro la guida autonoma verrà applicata non solo su circuiti da gara, ma anche per il trasporto pubblico e di privati. “L’auto autonoma rivoluzionerà la mobilità nei prossimi 10-15 anni. Probabilmente le nostre strade si riempiranno di robot-taxi. Sarà un gran momento perché si ridurrà sensibilmente il numero delle macchine, le città saranno più libere e meno inquinate, più aperte alle bici e ai pedoni e si registreranno così meno consumi energetici”. Dall’altro lato, il direttore del laboratorio HiPeRT (High-Performance Real-Time) dell’Università di Modena e Reggio Emilia Marko Bertogna si astiene dal fare previsioni per il futuro: “Mi trovo nel gruppo dei più conservativi. Dobbiamo infatti ancora risolvere quell’un per cento dei problemi che riguardano la sicurezza. Ovvero come si deve comportare il veicolo in tutti i casi limite: questa è la vera sfida più ardua”.

1 Comment


Guest
May 04, 2022

Intetessante, anche se in po'lungo. Un abbraccio e complimenti


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