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Il Fast Fashion: I segreti dietro allo shopping online a basso costo

di Sara Magliocchetti



Fare shopping online, stando comodamente sul divano di casa, piace a tutti e soprattutto ai più pigri di noi. Nonostante fosse già apprezzato tra i giovani, è nel 2020, anno dello scoppio del virus Covid-19, che raggiunge l’apice della popolarità diventando un’alternativa allo shopping “tradizionale”. Solo in quell’anno si sono registrati oltre 2 milioni di consumatori online (1,3 milioni arrivati proprio durante il periodo della pandemia) e le vendite sono salite partendo da un 81% a un +162,1%.


Ma come hanno fatto questi siti online a raggiungere tale fama? Come specificato prima, queste piattaforme sono diventate popolari durante il lockdown, periodo in cui era vietato, ad esempio, andare al ristorante e tantissime attività cominciarono ad offrire il servizio delivery. Insieme al servizio d’asporto, moltissime persone facevano anche acquisti online di vario tipo: abbigliamento, accessori, ma anche medicine e addirittura la spesa (servizio introdotto soprattutto per aiutare gli anziani, ancora in uso).


Finito il lockdown finalmente si poteva uscire di casa, ma molti facevano ancora affidamento allo shopping online, soprattutto dopo la scoperta di siti particolarmente convenienti: navigando tra quelli più conosciuti, puoi trovare una T-shirt a meno di 5 euro, quando in negozio non la paghi meno di 20.

Ma da cosa è data questa netta differenza di prezzo? Vendere un prodotto a basso costo significa produrlo a basso costo, questo dimostra che c’è qualcosa a cui non stiamo dando peso.


Nasce negli ultimi tempi il Fast Fashion, termine che indica l’industria della moda economica, al passo con le ultime tendenze e accessibile a tutti. Anche se estremamente apprezzata, specialmente dai più giovani, non stiamo minimamente facendo caso a tutti i danni che il Fast Fashion sta causando all’ambiente (e non solo).

Tornando alla T-shirt, secondo il Rapporto WWF-National Geographic, per produrre una singola maglietta di cotone sono necessari circa 2700 litri d’acqua, per non parlare dell’utilizzo dei coloranti artificiali: la particolare brillantezza di un capo è spesso il risultato di sostanze chimiche tossiche che, quando finiscono nell’ambiente, danneggiano interi ecosistemi. Molti di quei coloranti sono anche estremamente cancerogeni ma vengono utilizzati da moltissime industrie. La motivazione? Costano poco.


La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, durante una conferenza in Svizzera, ha rilasciato dei dati importanti sull’industria del Fast Fashion che fanno riflettere: essa è responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica, oltre a produrre più gas serra di tutti gli spostamenti aerei e navali nel mondo. Inoltre, un rapporto di Bloomberg ha evidenziato che i loro prodotti possono contenere fino al 95,2% di microplastiche, materiali non biodegradabili e tossici che finiscono nel mare mettendo a rischio numerosi organismi.

Oltre all’aspetto ambientale, dobbiamo anche analizzare la figura del dipendente che lavora per il Fast Fashion: come fanno queste catene d’abbigliamento a produrre migliaia di vestiti a prezzi competitivi e in poco tempo? La motivazione è semplice, la produzione viene spostata in paesi dove numerosi lavoratori, anche bambini e donne, vengono sfruttati, maltrattati e sottopagati, costretti a turni estenuanti dove ogni diritto umano viene violato.


La caratteristica del basso costo di quell'abbigliamento è data dall'abbassamento della paga di quegli operai: in Bangladesh, dove non esiste un salario minimo dignitoso, un lavoratore può guadagnare circa da 1,90 a 2,40 dollari al giorno lavorando 12 ore e con un solo giorno al mese di riposo. In moltissime industrie si producono oltre 1.2 milioni di capi al giorno, in laboratori senza finestre che contengono circa 200 operai. Sono numerose, inoltre, le violenze fisiche sulle donne per incentivarle a lavorare di più e in minor tempo. Sul web non si trovano moltissime immagini di ciò che è stato descritto e moltissimi consumatori sono totalmente ignari di tale situazione.


Possiamo dire che queste catene di abbigliamento nascono solo con l’esigenza di guadagnare tanto spendendo il minimo? Questo non lo potremo sapere, ma sappiamo di certo che il loro fatturato attualmente è di 26,15 miliardi di euro con un utile netto di 3,44 miliardi. I loro guadagni sono dati anche dalle molteplici sponsorizzazioni da parte di influencer che pubblicizzano i loro prodotti aumentando il numero dei consumatori.


Ma come possiamo fermare la crescita di queste catene d’abbigliamento? Nel Marzo del 2022 la Commissione Europea ha cominciato a stabilire le prime direttive per fermare l'impennata del Fast Fashion introducendo regole più “green” e producendo capi d'abbigliamento in maniera più sostenibile. Inoltre, ogni prodotto sarà accompagnato da un “passaporto digitale” con le informazioni relative alla tipologia di tessuto e le aziende promettono di contenere il più possibile le emissioni di anidride carbonica.


Ma per quanto le aziende si possano impegnare, anche noi da consumatori dobbiamo dare una mano per evitare questo ciclo continuo di consumi. Molte industrie del Fast Fashion non producono in Europa e non seguono le direttive imposte; quindi, sta solo nella nostra consapevolezza se acquistare o meno da loro. Quello che sicuramente possiamo fare è evitare gli sprechi, quindi in generale comprare meno vestiti o prenderli di seconda mano (al mercato o su piattaforme come Vinted, dove puoi comprare prodotti usati ma anche vendere). Possiamo anche donare l’abbigliamento che non ci piace o se abbiamo un capo difettato un’alternativa è farlo rammendare da un sarto, invece semplicemente di buttarlo.


Spesso sentiamo frasi del tipo “ognuno di noi può fare qualcosa per cambiare le sorti della Terra” e a tanti scoccia ripeterlo, ma se ci pensi è così. Sarà solo la somma delle singole azioni di ognuno a fare la differenza e se non si fa qualcosa ora non sapremo mai cosa ci riserverà il futuro.


E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!

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