Giovane studentessa si toglie la vita: l’ennesimo fallimento dello Stato italiano
- Il Napoletano Espanso
- 12 feb 2023
- Tempo di lettura: 3 min
di Rita Iodice

Silenzio. È questo quello che finalmente, dopo mesi di agonia, ha potuto percepire nella sua testa la 19enne trovata impiccata in uno dei bagni dell’università IULM di Milano lo scorso 1° febbraio. Nella borsa trovata ai suoi piedi un biglietto d’addio “ho fallito negli studi”, frase emblematica dell’accaduto che ci accompagna in una realtà che forse non siamo ancora pronti a comprendere a pieno. Una delle tante realtà che accomuna più giovani di quel che potremmo immaginare, circa 4000 mila secondo i dati ISTAT, che ogni anno si tolgono la vita perché schiacciati dal peso dello studio, dall’oppressione sociale e soprattutto familiare delle aspettative.
Immaginate di svegliarvi ogni giorno per diverso tempo credendo che tutta la vostra vita sia misurabile in base ai vostri successi scolastici o lavorativi che siano. Immaginate ancora di avere 19 anni e una vita davanti ma non riuscire a guardare più in là di un voto d’esame o del titolo “bocciato” appeso accanto alla vostra matricola in bella mostra in bacheca. Immaginate ancora di avere una famiglia che piuttosto che aiutarvi a crescere e a diventare fieri di voi stessi vi sottoponga a una pressione tale da spingervi a non vedere null’altro di importante nella vostra vita se non la vostra media. Poter solo immaginare una simile realtà sarebbe fin troppo bello, come fare un brutto sogno e svegliarsi per accorgersi che non era vero. Ma invece una tale realtà è ciò che in Italia quasi 1 ragazzo su 4 subisce dal contesto in cui vive. Abbiamo passato anni a raccontarci che il percorso universitario non è per “deboli”, che per avere un buon voto bisogna restare chiusi in casa, piangere, non dormire, assumere tranquillanti per poter sopperire agli attacchi d’ansia, ripetere fino allo svenimento vivendo in una società in cui, seduti su una seggiola di legno alla cattedra di qualcuno che “forse” ne sa più di noi, veniamo giudicati per ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, talvolta venendo umiliati per qualche nozione mancante.
E non bastano i dati ISTAT sui suicidi di giovani in Italia dai 15 anni in su a farci cambiare. Non bastano i dati delle malattie mentali in aumento nei giovani tra i 18 e i 35 anni, non bastano gli articoli, i pianti dei nostri figli tornati da scuola, l’insonnia di nostro fratello che alle 2 del mattino troviamo ancora alla scrivana perché “domani ho un esame e vado a dormire più tardi così ripeto”. Non basta neanche aprire la porta del bagno di un’università e trovare impiccata all’appendiabiti una studentessa alla sua prima sessione di esami a cui vengono dedicati 3 minuti di silenzio durante gli esami e qualche giorno di lutto. Il suicidio di questa povera ragazza, come quello di molti altri avvenuti lo scorso anno e gli anni precedenti, verrà soffocato nel silenzio di una società che non vuole ascoltare.
Le cose non cambieranno neanche stavolta ma non riusciremo mai a smettere di pensare che una ragazzina di 19 anni possa essere tanto disperata da impiccarsi nel bagno della propria università, un ente che dovrebbe promuovere la cultura e la vita ma che, odiernamente, sembra più preoccupato al “merito” (un concetto che ancora facciamo fatica a non assimilare alla parola “morte”) che non ai fallimenti veri e propri come la tragedia di tante vite spezzate invano proprio come questa.
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