Giovan Battista Cutolo: ragazzo ucciso da un ragazzo, vendetta o educazione?
- Alessandro Di Giovanni
- 23 nov 2023
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di Alessandro Di Giovanni

Una normalissima sera in una delle piazze più importanti della città di Napoli, Piazza Municipio. Un gruppo di amici, alcuni dei quali musicisti che eccellono nel Conservatorio di Napoli, escono e vanno in un pub, come fanno tutti i ragazzi della loro età durante il sabato sera. Uno di questi, che verrà ricordato amaramente come Giovan Battista Cutolo, viene al posto con la propria ragazza, che aveva comprato un nuovo motorino.
Durante la serata la ragazza, per paura che qualcuno rubasse il motorino, esce di tanto in tanto dal locale per controllarlo. Improvvisamente le vengono incontro questi ragazzi, chissà da dove arrivati, che le chiedono con aria di sfotto’ e di minaccia se avesse paura di loro.
Lei li ignora e ritorna all’interno del locale, quando quei ragazzi entrano lì dentro e iniziano a stuzzicare lei e il gruppo di amici. Cibo e posate lanciate, scherni vari e soprattutto un tubetto di maionese schiacciato sulla testa di Giovanbattista.
Giustamente il ragazzo, infastidito, inizia a litigare con i ragazzini fuori dal locale. Qui, uno di questi ultimi, che ha solo 16 anni, prende una pistola dalla sua tasca e spara due colpi alla spalla dell’altro litigante. Giovanbattista allora cade a terra, girandosi. Vigliaccamente, vedendo il corpo disteso dell’avversario, il ragazzo spara un terzo colpo, che risulterà essere fatale. I ragazzini hanno lasciato quel corpo freddo, oramai esanime, a marcire su quel tratto d’asfalto, mentre loro se ne sono andati, in totale tranquillità, a giocare a carte fino alla mattina successiva.
Il ragazzo saprà d’essere stato scoperto quando arriverà, in mattinata, la chiamata del padre che gli dirà di essere coinvolto nelle indagini per un omicidio avvenuto a Piazza Municipio.
Questa è una delle vicende più tristi della nostra storia recente, in cui è morto miseramente un ragazzo, diligentissimo e impegnato per imparare a padroneggiare il suo strumento, per un vile atto di violenza.
Questo avvenimento va preso come testimonianza di come la criminalità italiana odierna opera. Difatti non è più una mafia organizzata, che ormai non crede più nei suoi boss, e che concentra il suo operato soprattutto al Sud, ma densi gruppi di ragazzini, molte volte dall’aspetto risibile e innocuo, ma che possono avere inaspettatamente pistole o coltelli nelle tasche.
Molte volte, chi commette questi reati da minorenne viene solo rinchiuso in un carcere minorile per qualche anno e poi rilasciato invece di essere trasferito in un carcere tradizionale. Pene che, sebbene siano state inasprite da un nuovo decreto del Governo Meloni, risultano essere inutili dato che il numero di denunce per questi reati, in ogni zona d’Italia, non diminuisce.
Ma come arginare questo fenomeno? È subito da escludere l’inasprimento senza criterio delle pene, pene che nel nostro sistema non mirano unicamente a punire il condannato, ma soprattutto a rieducarlo e a ricondurlo in società. Data questa premessa, come si può pensare di rieducare un condannato, soprattutto se arriva a compiere un omicidio a 16 anni, lasciando ogni criminale solo al proprio destino? Consideriamo la questione punto a punto.
Il ragazzo molto probabilmente è vissuto in un ambiente dove uccidere il proprio avversario per risolvere le discussioni è all’ordine del giorno, una cosa “normale” insomma. Tali “regole di vita” gli saranno state inculcate dalla famiglia e addirittura ci sono ampie possibilità che la pistola gliel’abbia data il padre. L’individuo si sarà affacciato alla stessa realtà anche a scuola e con gli amici. Di conseguenza, il ragazzo ha nella propria mentalità questo concetto: uccidere è normale.
Probabilmente quest’ultimo non avrebbe compiuto un omicidio se non avesse avuto a che fare con questi ambienti e fosse stato ben scolarizzato ed educato. Il tasso di criminalità di questi ambienti dipende soprattutto dal tasso di povertà, esclusione sociale e degrado di questi ultimi. Nella maggior parte dei casi, queste zone sono date alla sorte perché considerate irrecuperabili e si preferisce investire sulle zone e i quartieri più famosi ed abbienti.
A ciò si aggiungono le difficoltà a trovare un lavoro e la mancata costruzione di opere pubbliche in queste zone. Perché anche la presenza di ospedali, scuole, università ed eventi di livello contribuiscono a cambiare la reputazione e la situazione sociale di un quartiere, migliorandola sia agli occhi degli altri, sia migliorando chi ci vive. Un esempio è il quartiere napoletano di Scampia, che negli ultimi 10 anni è cambiato tantissimo, con la costruzione di nuove scuole, della stazione della metro e, molto recentemente, sede del celeberrimo spettacolo del 64 BARS, sponsorizzato dalla Red Bull e che accoglie ogni anno artisti importanti da tutta Italia.
Tutto ciò non mira a decolpevolizzare il ragazzo che ovviamente è colpevole, ma a spiegare le ragioni di quella vicenda e forse anche a spingere a far riemergere e a dare un po' di dignità a queste zone vuote e quindi degradate.
Anche se il ragazzo ha probabilmente vissuto l’omicidio come una via per risolvere le discussioni, puó ancora cambiare se il carcere gli dà la possibilità di farlo. Purtroppo però, il nostro carcere non è adatto a questo scopo. Un ambiente in cui nella maggior parte dei casi ci sono risse e spaccio di droga tra detenuti che vengono aggrediti dalle guardie stesse, oramai chiaro a tutti, dato che risulta addirittura “figo” andare in carcere, non può cambiare qualcuno che è abituato a fare ció anche nella sua vita quotidiana, anzi, molto spesso si esce peggio di prima.
Se nelle carceri ci fosse la possibilità di essere seguiti da uno psicologo o un pedagogo, facendo vivere i detenuti in un ambiente sicuro e pacifico, anche se controllato, questi forse troverebbero più facilmente il modo di trovare il proprio posto nel mondo e di realizzarsi come si vuole nella vita post-carcere.
Quindi la soluzione, dati questi fattori, non è inasprire le pene, soprattutto se poi vengono scontate parzialmente oppure senza avere un’evoluzione del proprio pensiero e comportamento, ma fare in modo di far crescere questi detenuti con dei buoni principi, cosa che non hanno avuto la possibilità di fare prima, per dare alla società persone migliori e ambienti più sicuri.
E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!
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