Condividere senza pensare: quando uno slogan sostituisce il dibattito critico
- Il Napoletano Espanso
- 28 gen
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Negli ultimi vent’anni, il panorama politico e sociale ha subito una trasformazione radicale, dovuta soprattutto all’ascesa dei social media. Oggi, la comunicazione digitale è uno degli strumenti più potenti per influenzare l’opinione pubblica, e, a dispetto delle potenzialità democratiche del web, i social sono diventati anche un terreno fertile per il populismo, che con slogan e frasi d’effetto cerca di allargare il proprio bacino elettorale. Un fenomeno che, se non compreso e controllato, rischia di minare il dibattito pubblico e di appiattire la partecipazione politica.
Esempio eclatante di come i social media abbiano cambiato la politica è quello di Silvio Berlusconi, che è stato uno dei pionieri del cosiddetto web populismo. Sebbene il leader di Forza Italia non sia stato un “nativo digitale”, ha intuito presto il potenziale dei mezzi di comunicazione per veicolare messaggi semplici e diretti, adatti a un pubblico vasto e variegato. Berlusconi ha utilizzato le frasi ad effetto come un’arma strategica per conquistare consensi: “meno tasse per tutti”, “più sicurezza”, “via la sinistra”.
Frasi sintetiche, facili da ricordare, ma soprattutto facili da condividere. I social media hanno amplificato questo tipo di comunicazione, trasformando slogan e slogan in veri e propri manifesti di una politica che si fa più immediata, ma anche meno complessa.
In un contesto digitale in cui le notizie viaggiano a velocità vertiginosa, non è difficile comprendere come una frase d’effetto possa essere ripresa, condivisa e rilanciata senza che la persona che la condivide abbia avuto il tempo di riflettere sulla sua reale consistenza. Condividere non equivale a partecipare. La semplice azione di premere “condividi” su Facebook, Twitter o Instagram non comporta un’analisi critica o una vera discussione, ma la diffusione di un messaggio, spesso semplificato o distorto, che può raggiungere milioni di persone. Lo slogan diventa un verbo, una causa, ma dietro quella condivisione non c’è sempre un’espressione autentica dell’opinione individuale, né un dialogo costruttivo.
È un fenomeno che tocca tutti i settori della vita pubblica: dalla politica alla cultura, passando per la salute, l’ambiente e l’economia. I social media, infatti, sono anche il terreno perfetto per la diffusione delle fake news, quelle notizie false o tendenziose che alimentano paura, diffidenza e polarizzazione.
Grazie agli algoritmi delle piattaforme social, queste informazioni scorrette si propagano velocemente, raggiungendo una vastissima audience, spesso priva di strumenti adeguati per verificarne la veridicità. La “falsa notizia” non è più una rarità o un incidente: è diventata una pratica quotidiana, alimentata da una rincorsa alla visibilità ed alla retorica.
È la logica dei titoli ad effetto e degli slogan facili, che catturano l’attenzione senza offrire spunti per una riflessione più profonda. La questione centrale, quindi, non è solo quella della manipolazione mediatica, ma anche della capacità degli utenti di sviluppare un senso critico. In un mondo in cui le informazioni sono facilmente accessibili, ma altrettanto facilmente manipolabili, diventa fondamentale saper distinguere ciò che è reale da ciò che è tendenzioso o ingannevole. L’educazione digitale dovrebbe essere una priorità: non si tratta solo di imparare a usare i social, ma di acquisire la consapevolezza necessaria per analizzare le fonti, confrontare le notizie e, soprattutto, non cedere alla tentazione di consumare informazioni come se fossero merce pronta all’uso.
Diventa fondamentale salvaguardare la qualità del dibattito pubblico, privilegiando riflessione e spirito critico, che vanno a formare una consapevolezza collettiva profonda.
E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!
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