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Bruno Pizzul: la voce del calcio italiano


Qual è il ruolo di un telecronista se non quello di scolpire per sempre ciò che succede nella mente della gente? È questo quello che ha fatto per 40 anni Bruno Pizzul, il più iconico, il più significativo dei telecronisti che la storia del giornalismo italiano ricordi. Alla sua voce sono legati gli eventi calcistici più importanti degli ultimi 30 anni del secolo scorso, è lui che ha fatto appassionare milioni di italiani a questo sport, è lui che ha commentato le Notti Magiche, il disastro dell'Heysel, i tempi d'oro di Paolo Rossi e del Divin Codino ed è lui che ha reso memorabili i programmi cult dello sport italiano, uno tra tutti "La Domenica Sportiva". Si potrebbe scrivere una storia del calcio moderno anche solo attingendo dalle telecronache di questo straordinario personaggio, che ci ha lasciati qualche giorno fa.


Lasciamoci accompagnare proprio da Bruno nella storia del calcio degli ultimi anni, lasciamoci guidare da chi, nonostante stia fuori dal campo, conosce questo sport meglio di tanti altri.

Sicuramente il giornalista sceglierebbe come prima tappa di questo nostro particolare itinerario Como, l'8 aprile 1970. Per una volta, però, non poniamo il nostro sguardo sul campo, bensì sulla tribuna stampa. La partita è appena iniziata, ma, se guardiamo attentamente, notiamo che manca qualcuno: il telecronista RAI, che arriverà solo ad un quarto d'ora dall'inizio dell'incontro.


Iniziava così la carriera del più grande della storia del giornalismo italiano: con un ritardo. Quella di Como era stata la prima partita di un giovane Bruno Pizzul e l'unica salvezza del neo-assunto telecronista era stata il fatto che, a quei tempi, la televisione trasmetteva gli eventi sportivi in differita. Di conseguenza, alla fine del match, il friulano era riuscito a passare in redazione a Milano per completare la telecronaca.


Singolare come esordio, no?

Ma non c'è tempo, bisogna prepararsi ad un salto temporale di 15 anni per arrivare alla seconda tappa di questo nostro viaggio. 29 maggio 1985, stadio dell'Heysel, Bruxelles. Finale di Champions, Juventus-Liverpool.

Nonostante l'indiscutibile prestigio del match, ancora una volta non è il campo da gioco che dobbiamo guardare. Non è nemmeno, come prima, la tribuna stampa, dove il nostro Bruno è seduto, pronto per la telecronaca. Manca un'ora alla partita, c'è tutto il tempo di guardare verso le curve. Si vede una grande onda rossa: sono i tifosi del Liverpool. Tra le tifoserie più calde, e anche più violente, in Inghilterra, sono giunti in gran numero per accompagnare la loro squadra alla vittoria e, forse, non solo per quello. Vediamo ora il settore Z, quello vicino al muro rosso: è neutro ma quante maglie bianconere.

A breve si sarebbe consumata una delle più grandi tragedie della storia del calcio: l'invasione degli hooligans, il crollo del settore, 39 morti e più di 600 feriti. L'Italia l'avrebbe visto con una voce in sottofondo, quella sobria e posata di Bruno Pizzul, sconvolto dell'avvenimento come tutti, ma sempre professionale.

"E ora purtroppo una notizia che debbo dare, perché è ufficiale, viene dall’Uefa. Ci sono 36 morti. Una cosa rabbrividente, inaudita. E per una partita di calcio".


Così il telecronista annunciava il tragico evento. I morti sarebbero diventati 39 nel giro di pochi minuti, ma lo sgomento per una notizia del genere aveva già colpito il cuore degli italiani. La partita si sarebbe giocata lo stesso, con grande stupore ed indignazione di Pizzul, e la Juventus avrebbe alzato al cielo la prima Coppa dei Campioni (così si chiamava, all'epoca, la Champions League) della propria storia. Nonostante l'importanza di tale vittoria per il calcio italiano, nessuno quella sera, a partire da Bruno stesso, riusciva ad essere felice, sapendo di aver assistito ad una pagina della storia del calcio che ancora oggi ricordiamo tra le più tragiche.


Lasciamo ora il Belgio, per un altro viaggio nello spazio-tempo. Ci prepariamo ad andare oltreoceano, 9 anni dopo la tragedia dell’Heysel. È proprio l'America la prossima tappa di questo nostro itinerario sulle orme di Bruno Pizzul, più precisamente Pasadena, in California. Erano stati i giorni del Divin Codino, Roberto Baggio, che Pizzul chiamava per nome per distinguerlo da Dino.

Era il 17 luglio 1994, negli States faceva caldo, e non solo dal punto di vista meteorologico. Allo stadio Rose Bowl c’erano poco più di 94.000 spettatori, tra cui Bruno Pizzul, e l’atmosfera era tesissima.


L'Italia doveva affrontare i giganti del Brasile, in una finale che sarebbe valsa la 4a stella per una delle due Nazionali. La partita procedeva equilibrata, nessuna delle due squadre era riuscita a passare in vantaggio, né nei tempi regolamentari, né in quelli supplementari. Si procedeva spediti verso i calci di rigore. Il primo lo sbagliano entrambe, da quel momento l’Italia ne mette a segno 2, il Brasile 3. È il momento dell’ultimo, decisivo, tiro dal dischetto. Si presenta Roberto Baggio. La rincorsa è breve, il tiro alto, oltre il legno della traversa. Il Brasile è campione del mondo.

“E Baggio ha fallito... Il Brasile è campione del mondo... Peccato, peccato davvero. L’Italia ha lottato fino alla fine, ma il destino ha deciso diversamente. Un finale amaro per gli Azzurri, ma una squadra che merita comunque applausi.”

Per dirla con le parole di Bruno, che commentava così la sconfitta forse più amara di sempre per la Nazionale italiana.


È proprio a Pasadena che lasciamo Bruno, tornando al 2025, forse con un’idea più consapevole di quanto un telecronista possa incidere nella storia di uno sport, di quanto riesca, con i propri racconti, con le proprie frasi più iconiche, a bloccare momenti di storia nella mente degli appassionati.

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