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Bracconaggio incontrollato: Quando l’ignoranza umana diventa pericolosa

di Jacopo Staiano


Un’epoca dove flora e fauna sono fuori controllo a causa del cambiamento climatico, non mancano ulteriori problematiche che richiedono l’attenzione di governi e cittadini di tutto il globo terracqueo.


Alcune di queste sono sempre in prima pagina mentre altre sono finite nel dimenticatoio per mancanza di leggi adeguate che vietano certi comportamenti e mancanza di responsabilità da parte di cittadini che negli anni hanno approfittato di queste questioni solo per futili tornaconti.


Tema di grande spessore, ma poco discusso per colpa di negligenza e ignoranza da parte di molti individui. Tuttavia, esiste l’altra faccia della medaglia, persone e organizzazioni che combattono contro questa ingiustizia e molto spesso l’intervento di questi risulta essere estremamente positivo, poiché riescono a salvare vite che altrimenti verrebbero spazzate via.


Esempio importante da evidenziare assolutamente è la Lipu, l’associazione per la conservazione della natura, la tutela della biodiversità, la promozione della cultura ecologica in Italia. Con 30.000 sostenitori, la Lipu è un punto di riferimento per la difesa della natura in Italia. Da oltre cinquanta anni curano animali, proteggono gli habitat, combattono il bracconaggio e parlano di natura ai ragazzi.


Con la loro determinazione riescono a salvare più di quindicimila animali da situazioni critiche nei loro centri sparsi per tutta Italia. In più gestiscono 30 Oasi e Riserve dove le persone possono innamorarsi della fauna italiana. Per loro l’ambiente ha un ruolo di inestimabile valore nella società odierna, inoltre vogliono un mondo dove la gente viva in armonia con la natura e viceversa. Il simbolo di questa associazione sono gli uccelli; secondo la Lipu rappresentano la speranza di un mondo migliore.


Ritornando al tema del bracconaggio, questo, insieme alla caccia, coinvolgono ogni anno milioni di uccelli che fanno spesso parte di specie a rischio. La caccia è un fenomeno che ha radici lontane nella storia dell'uomo. Legata un tempo a necessità di sussistenza, oggi è un hobby violento che non pochi danni comporta alla natura. Sebbene molto ridotta nel numero dei praticanti, la caccia rappresenta tutt’ora un problema serio per gli uccelli e la natura del nostro Paese.


In Italia la caccia è regolamentata principalmente dalla legge dell’11 febbraio 1992, n. 157, “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”, più semplicemente nota come “157”. Una legge giusta, ma che andrebbe migliorata per una maggiore tutela della natura. La 157/92 prevede, nella lista delle specie cacciabili, alcune in cattivo stato di conservazione, messe ulteriormente in pericolo dall’attività venatoria.


Per indicare lo stato di conservazione, BirdLife International ha da tempo individuato il sistema SPEC (cioè Specie Europee di Interesse Conservazionistico), che prevede tre livelli, che vanno da SPEC-1 (stato peggiore), passando per SPEC-2 e arrivando a

SPEC-3 (stato meno peggiore). C’è da precisare però che tutti e tre i livelli necessitano di interventi di tutela a trecentosessanta gradi.


Diversamente il Bracconaggio è un termine che indica la caccia di frodo, ovvero l’esercizio dell’attività venatoria in violazione della legge vigente. Violare la norma, significa fare bracconaggio, essere un bracconiere a tutti gli effetti. “Bracconiere” è chi spara specie protette, chi caccia in tempi o in aree di divieto, chi uccide con modalità e mezzi vietati, chi cattura illegalmente gli uccelli e gli altri animali protetti.

Ancora oggi l’Italia è, purtroppo, terreno di bracconaggio diffuso. Cicogne, gru, rapaci, lupi, tutte specie particolarmente protette, cadono vittime dei bracconieri. Ma fra le vittime del bracconaggio si contano anche specie come i fringillidi, illegalmente commerciati nei mercati abusivi di Napoli e Palermo oppure le centinaia di quaglie e tortore che in primavera, di ritorno dall’Africa verso i luoghi di riproduzione, sono abbattute dai bracconieri nelle isole del basso Tirreno. O ancora i tanti passeriformi catturati in Sardegna.

Il bracconaggio resiste per ragioni precise. In primo luogo, una notevole carenza di controlli. La vigilanza, in Italia, è certamente inferiore rispetto all’entità del fenomeno. Inoltre, le pene previste attualmente sono leggere e prevedono quasi tutte l'oblazione, cioè la possibilità di estinguere la pena con il semplice pagamento di una somma di danaro. Le pene sono inoltre riferite all’abbattimento della “specie” e mai anche al singolo esemplare. Per fare un esempio: se venisse abbattuta un’aquila, o venissero abbattute dieci aquile, la pena sarebbe la medesima.

Da decenni la Lipu è impegnata a contrastare il grave fenomeno del bracconaggio: con campi nelle zone più calde, con la vigilanza attuata in loco dai propri volontari, con studi, volontariato, denunce. Ma è stato anche attivato un grande progetto europeo di comunicazione dal titolo

“Un rifugio sicuro per gli uccelli selvatici”, che mira al rifiuto e quindi a sconfiggere questa piaga per la natura italiana, europea, internazionale.


Un ulteriore approfondimento viene fatto da Nicola Campomorto, volontario Lipu attivo da sempre per la salvaguardia e il salvataggio, dove spiega la sua prospettiva su questa grande piaga odierna:


Oltre al danno economico derivante dall’evasione (la compravendita di questi animali è fuori dai circuiti fiscali, trattandosi di atti illeciti), poiché spesso questi bracconieri sono nullatenenti, e sanzionarli è quasi inutile, c’è il grosso danno che provocano all’ambiente.

Raramente ho assistito a condanne esemplari, i rari casi in cui questo accadeva erano condanne derivanti dall’accumulo di pene dello stesso genere.


Nel marzo 2017 fu approvato in Italia il piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, che, a mio modesto parere, sulla carta era perfetto ma che trovò poca applicazione e distribuita sul territorio nazionale in modo puntiforme. Vennero fissati dei “black spot”, punti caldi dove il bracconaggio era ben radicato e selettivo. Mancavano informazioni da varie regioni dove i controlli erano pochi e i dati carenti. Ai primi posti figuravano Brescia, Caserta e Salerno, con le tipiche attività illecite. Il piano prevedeva tavoli decisionali e operativi che non sempre sono stati fatti, cabine di regia composte da istituzioni, esperti del settore, associazioni di protezione e venatorie.


Ci sono stati esempi virtuosi dove il modello di piano ha attecchito ma a distanza di qualche anno, scampato il pericolo di cadere nella trappola delle infrazioni europee, il piano è stato accantonato. Qualche residuo resta, zone dove le forze dell’ordine collaborano con le associazioni locali al fine di essere più incisivi. Ma il lavoro da fare è ancora tanto. Sottolineo, inoltre, che l’Italia non ha una vera e propria legge sul bracconaggio.


Il Napoletano Espanso ringrazia Nicola Campomorto (Lipu) per l’aiuto dato nella creazione di questo articolo.


E tu, cosa ne pensi? Dicci la tua!

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