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Morte e vecchiaia: la scienza che vuole sconfiggerle

Aggiornamento: 3 gen 2023

di Redazione "il Napoletano Espanso"



“Devi campare 100 anni”, è questa una tipica frase che ci sentiamo dire spesso durante un proprio compleanno o dopo aver fatto del bene agli altri. Ma fin dove è possibile spingersi in longevità? Tralasciando personaggi biblici e avvolti nella leggenda come Matusalemme, che si dice abbia vissuto per ben 969 anni, la persona più longeva di tutti i tempi documentata è Jeann Calment, una donna francese vissuta fino ai 122 anni dal 1875 al 1997. Ma a quale limite si può realmente arrivare? Secondo uno studio pubblicato su Nature communication (“Longitudinal analysis of blood markers reveals progressive loss of resilience and predict human lifespan limit”) è possibile arrivare al massimo ad un’età compresa tra i 120 e i 150 anni in condizioni ideali. Secondo gli autori, infatti con il passare del tempo per il corpo umano diviene impossibile guarire i danni (anche microscopici) che possono incorrere ogni giorno, e diventa inoltre man mano impossibile sostituire i globuli rossi vecchi con quelli nuovi.

Cosa ci fa guarire

Per poter comprendere i meccanismi di guarigione è necessario sapere che tutte le cellule contengono le stesse identiche informazioni nel loro materiale genetico, così, ad esempio, una cellula del cuore avrà nel suo nucleo anche il gene per una proteina specifica del polmone. Ma allora, se condividono lo stesso materiale genetico, come fa una cellula del cuore ad essere diversa da una ad esempio del polmone? Il segreto sta nell’espressione genica, infatti, la cellula, in questo caso del cuore, sceglie di “scartare” e di non utilizzare informazioni che non servono alla funzione che deve svolgere.

Ma come avviene questo “Scarto”? Come fanno le nostre cellule a “capire” che funzione assumere?

Quando siamo ancora degli embrioni, per un primo periodo, siamo costituiti da cellule tutte uguali tra loro. Dopo varie replicazioni queste cellule, in base alla loro posizione, passano per vari livelli di differenziazione graduale, fino ad arrivare alle linee cellulari finali.

Alcune di queste cellule, però, non si specializzano del tutto e restano in uno stato “simil-embrionale”, pronte per essere usate quando ce n’è più bisogno: sono le cellule staminali.

Ed eccoci alle staminali, le principali protagoniste dei processi di guarigione, infatti, all’occorrenza, si duplicano per mitosi e si specializzano variando la loro espressione genica nel tessuto da guarire o sostituire.

Esistono vari tipi di cellule staminali, ognuna con caratteristiche diverse e con capacità maggiore o minore di poter sostituire più o meno tessuti diversi.

Tutto bello, ma allora perché invecchiamo?

Tutte le nostre cellule sono sottoposte quotidianamente a stress ed ad anomalie funzionali o danni al DNA, per questo, passate un certo numero di duplicazioni e per fattori e meccanismi diversi, le cellule staminali cadono in uno stato di senescenza. È un meccanismo di difesa antitumorale che consente alle cellule di evitare la proliferazione dei tumori evitando di far duplicare cellule danneggiate e malfunzionanti. L’accumulo di cellule senescenti decreta la vecchiaia del soggetto. Paradossalmente, la vecchiaia è il modo migliore che il corpo umano ha per farci vivere più a lungo.

Un Cocktail giapponese

Nel 2007, però, un medico giapponese di nome Shin’ya Yamanaka, insieme ai suoi collaboratori, riuscì a riconvertire dei fibroblasti adulti e già specializzati (un tipo di cellule della pelle) in cellule staminali cambiando l’espressione genica delle cellule, riprogrammando le cellule per farle esprimere 4 principali proteine che fanno sì che le cellule ritornino “indietro” allo stato di cellula staminale. Riprendendo dagli esempi precedenti, è come se avesse indotto la cellula del cuore a comportarsi e mano mano a trasformarsi in cellula staminale. Con questa tecnica è stato possibile “convertire” sempre dei fibroblasti in cellule neuronali!

Le prospettive future


Seguendo sempre la stessa scia, nuovi studi stanno già cercando di capire come ottenere organi interi partendo da alcune cellule della bocca del pazie, eliminando quasi completamente il rischio di rigetto (l’organo prodotto sarebbe identico a quello del paziente) ed aprendo la possibilità di ottenere organi nuovi per chi ne avesse bisogno.

Non finisce qui: sarà possibile far ringiovanire le cellule e farle ritornare allo stadio iniziale riacquisendo la capacità di rigenerare e riparare tessuti, proprio in questo senso, riportiamo il recente studio pubblicato l’8 Aprile sulla rivista eLife (“Multi-omic rejuvenation of human cells by maturation phase transient reprogramming”) dove il dott. Gill e colleghi, hanno inventato un nuovo metodo di riprogrammazione (chiamandolo “riprogrammazione transitoria delle cellule mature”), sempre partendo dai fattori di Yamanaka.

In pratica, gli scienziati inglesi, hanno scoperto che è più efficace ringiovanire le cellule senza farle ritornare completamente allo stato embrionale. Utilizzando poi degli “orologi a metilazione gene specifici” e valutando i livelli di collagene prodotti dai fibroblasti presi in esame, hanno potuto verificare di essere riusciti a ringiovanire le cellule dei fibroblasti di circa 30 anni. Scoperte che potrebbero farci sperare in futuro senza vecchiaia.

Anche se siamo ancora abbastanza lontani, che ne pensi della giovinezza eterna? È moralmente giusta o sbagliata? Faccelo sapere nei commenti.

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