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La metamorfosi da incubo del Napoli:cronaca di un disastro annunciato

Ci sono sogni che restano incancellabili all’interno di una mente e altri che invece, per il loro essere effimeri, svaniscono via in un Amen. Pensando a quanto ci sta raccontando questa stagione calcistica,il Napoli ci sta offrendo una chiave di lettura ancora più singolare, visto che quel sogno diventato realtà è stato poi seguito da un bruttissimo incubo dal quale sembra quasi impossibile svegliarsi.


Il 2023 degli Azzurri è stato decisamente un anno a due facce e che per questo motivo si può suddividere in due grandi tronconi:i primi sei mesi hanno evidenziato il progredire di un’inarrestabile cavalcata di un gruppo plasmato dalla saggezza e dalla bravura del suo allenatore,Luciano Spalletti , conclusasi con la vittoria di uno scudetto che la gente di Napoli attendeva dalla bellezza di 33 anni,in pratica dai tempi in cui una leggenda di questo bellissimo gioco come Diego Armando Maradona deliziava,con le sue finezze, i palati di chi ha avuto l’enorme privilegio di ammirarlo.


Nel giro di pochi mesi,tuttavia, la musica è cambiata e la partita persa domenica con un perentorio 3-0 sul campo del Torino ne è soltanto l’ultima inequivocabile conferma;pensare che proprio lì,allo Stadio Olimpico Grande Torino, lo scorso 19 marzo, curiosamente anche in quella circostanza si giocava in una domenica pomeriggio, il Napoli liquidava la pratica granata vincendo 0-4 e sciorinando un gioco spettacolare tra l’entusiasmo dei tifosi che per la prima volta cantavano per la prima volta “vinceremo il tricolor”,oggi genera una forte nostalgia analizzando la crisi di questa complicatissima annata. La bellezza, in campo e non solo, dei primi sei mesi è considerabile direttamente proporzionale a quanto di brutto si è  visto nella prima parte di questa stagione e allora, prima di analizzare le cause della crisi, è necessario partire dai numeri per comprendere a fondo la profondità del tracollo della squadra allenata da Walter Mazzarri. Quella di domenica è stata la quarta gara consecutiva  tra tutte le competizioni in cui il Napoli è rimasto a secco senza trovare la via del gol e la quarta sconfitta di fila lontano dal Maradona, dove comunque i numeri non sono certamente migliori, visto il misero bottino di appena 3 vittorie in 9 partite giocate in casa in campionato. Molto significativo anche il distacco dalla capolista Inter al termine del girone d’andata, pari a 20 punti, così come portano a più di una riflessione i soli 28 punti accumulati, ben 22 in meno rispetto ai 50 dello scorso anno a questo punto del torneo e, naturalmente, il nono posto in classifica.


Il calcio ci ha insegnato, nel corso della sua lunga storia, quanto sia complicato ripetere determinate imprese, ma questo non basta a giustificare un crollo verticale così repentino, dovuto invece ad una programmazione che sin dalla scorsa estate ha destato delle perplessità. Dal termine del campionato che ha visto infatti il Napoli laurearsi per la terza volta nella sua storia Campione d’Italia, il presidente De Laurentiis ha preso una serie di scelte che il campo ha dimostrato palesemente sbagliate. Il presidente del Napoli ha deciso di accentrare in modo ancor più evidente il potere sulla sua figura, probabilmente convinto dell’imbattibilità di una rosa che nella stagione precedente si era presa la gloria in ambito nazionale e aveva fatto la storia anche a livello continentale, con la storica qualificazione ai quarti di finale di Champions e colpevole di aver sottovalutato l’importanza dei due grandi artefici dei risultati della scorsa stagione: il direttore sportivo Giuntoli, che ha deciso di mettere la parola fine ad un ciclo durato 8 anni per sposare la causa juventina, e la guida tecnica del Napoli nell’ ultimo biennio, Luciano Spalletti, che ha poi scelto, nel mese di agosto, di accettare una nuova sfida azzurra, quella unica della Nazionale.


Il peccato originale sta nella mancata capacità di reagire agli addii anche abbastanza prevedibili dopo aver raggiunto dei picchi qualitativi e di risultati così importanti, optando per delle soluzioni rivelatesi alquanto improvvisate, soprattutto nel caso della panchina, affidata dopo settimane di fantomatici casting, svolti senza un direttore sportivo, al Francese Rudi Garcia. Nel nome di una presunta continuità tecnica che avrebbe messo al centro il 4-3-3 come da principi di spallettiana memoria, si è deciso di affidare la panchina dei campioni d’Italia a un tecnico che di quel sistema di gioco non aveva certamente fatto il suo credo tattico e soprattutto era reduce da un' esperienza particolarmente problematica alla guida dell' al nassr, in una realtà ancora di nicchia come quella del calcio saudita: una scelta arrivata dopo numerosi rifiuti da parte di allenatori più aggiornati e affini ad una certa idea di calcio, partendo da Luis Enrique e arrivando a Thiago Motta, rifiuti probabilmente dettati non solo dall' eredità molto pesante lasciata dall' attuale commissario tecnico della nostra nazionale o banali ragioni economiche ma anche dalla mancanza di un progetto realmente convincente, timore confermato dal fatto che lo stesso de Laurentiis in una recente intervista ha confermato che Rudi Garcia era di fatto stato un ripiego e da un' altra vicenda bizzarra, quella relativa al direttore sportivo. Il mese di giugno è stato infatti caratterizzato da una totale immobilità sul piano dirigenziale, con la diatriba proprio tra de Laurentiis e Giuntoli che, ritenendo la sua avventura a Napoli conclusa, ha cercato di spingere per l' addio, con un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale del contratto, riuscendo a liberarsi solo a fine mese.


Questo ha inevitabilmente rallentato tutto il mercato del Napoli che ha ufficializzato il nuovo direttore sportivo soltanto il 12 luglio, affidandosi all' ex Spezia Mauro Meluso, di cui non si vuole mettere in discussione né il lavoro fatto prima dell' arrivo a Napoli né le conoscenze calcistiche, è doveroso sottolineare come però questa scelta sia stata effettivamente in maniera estremamente tardiva e soprattutto senza lasciargli davvero la possibilità di incidere, almeno per il momento. Questo si è tradotto in un mercato deludente, a partire dal modo in cui è stato rimpiazzato Kim, la cui partenza era questione nota da settimane. Non ci si aspettava certamente un nome altisonante, si sarebbe andati contro la reale natura che spinge la società a muoversi in un determinato modo, ma un investimento più sostanzioso ce lo si auspicava, visto il tesoretto incassato di oltre 50 milioni di euro dalla cessione del miglior difensore dello scorso campionato. Sarebbe prematuro bocciare Natan dopo appena mezza stagione, ma l' idea di compiere un' operazione di questo tipo, affidandosi ad un difensore così acerbo e completamente estraneo alla realtà del calcio europeo, è indice chiaro della sindrome di Peter Pan che ha colpito il Napoli durante l' ultima sessione di calciomercato. Ad oggi, il difensore brasiliano classe 2001 acquistato dal Red bull bragantino per una decina di milioni di euro, pur avendo fatto intravedere qualcosa di interessante, non si è rivelato ancora sufficientemente pronto ad un salto di qualità così imponente, tanto che in questo momento manca un vero partner al fianco di Rrahmani, anche lui come tanti altri la brutta copia di sé stesso dell' ultima annata, e questo ha chiaramente portato ad un enorme peggioramento dei dati difensivi, come confermato dai 24 gol subiti in 19 giornate, l' anno scorso in tutte e 38 le gare del campionato il Napoli ne incassò soltanto 4 in più (28).


Anche da Cajuste ci si può aspettare qualcosa di più ma senza dubbio su di lui l’attesa era minore, soprattutto perché andava a rimpiazzare una riserva come Ndombelé. Il più grande equivoco riguarda però l' operazione più esosa del mercato del Napoli, ossia l' acquisto di Jesper Lindstrom. Il danese, acquistato dall' eintracht francoforte per circa 30 milioni di euro, ad oggi è il vero oggetto misterioso non solo del Napoli ma uno dei più grandi punti interrogativi a livello europeo. Acquistato praticamente nell' ultima settimana di mercato a fare le veci del partente Lozano, ha rappresentato il flop più clamoroso del mercato del Napoli, sicuramente perché non ha avuto grandi occasioni per dimostrare le sue qualità ma forse anche perché al centro di un malinteso tattico decisamente grave, visto che si tratta di un calciatore abituato a coprire le zone centrali del campo, nel ruolo di trequartista dove ha fatto vedere le cose migliori in Germania e che per caratteristiche non può essere considerato un alter ego di politano. E la questione mercato non si chiude più, vista la gestione di determinate situazioni contrattuali, dove il rinnovo di Osimhen con clausola, insieme a quelli di capitan Di Lorenzo e Mario Rui, rappresenta una delle poche note liete, a differenza della gestione di un altro calciatore importante come Zielinski destinato a partire a 0. Tutti gli errori  si sono poi palesati in prestazioni sul campo sempre peggiori, un’involuzione costante, prima con Rudi Garcia, reo di aver depauperato esonerato forse troppo tardi, dopo la debacle in casa contro l' Empoli dello scorso 12 novembre, poi con il ritorno di Walter Mazzarri, un' operazione amarcord che non potrà sbiadire i ricordi di quanto era stato fatto con l' esperto tecnico di San Vincenzo, che dalla sua ha l' alibi di aver raccolto un gruppo profondamente abbattuto, emotivamente e fisicamente, al quale non è riuscito a dare però ordine, cercando di ricalcare, in maniera del tutto inefficace, la bellezza dell' abito tattico che aveva cucito Luciano Spalletti su misura del suo Napoli.


Gli errori sono stati commessi su tutti i fronti, in una stagione che ha visto il Napoli subire anche una pesantissima umiliazione in Coppa Italia, con il poker rifilatogli dal Frosinone, anche a livello comunicativo. Esempio lampante riguarda la gestione del caso Rudi Garcia, le cui scelte inoculate sul campo restano, così come resta il fatto che per oltre un mese ha lavorato completamente sfiduciato, non solo dall' ambiente ma anche dai piani più alti, viste le dichiarazioni molto esplicite di ADL e il tentato approccio con Antonio Conte.


Ad oggi si respira l' aria di polveriera, come testimoniano le lamentele di Osimhen prima del rinnovo e la sua piccata risposta all' agente di kvaratskhelia, che in un' intervista in Georgia ha accusato il nigeriano di essere pronto a lasciare Napoli per andare a giocare in Arabia Saudita. Al presidente, in quanto numero 1 della società è giusto riconoscere i meriti di aver creduto in una importante rivoluzione nella scorsa stagione all' interno dell' organico, così come è giusto dire che il principale responsabile di questo disastro è proprio lui, che, già a partire dal mercato di gennaio, ha il dovere di invertire la rotta, provando a mettere delle pezze alle toppe nella rosa e a gestire meglio il cosiddetto esercito degli scontenti nella squadra, per non assistere ad una caduta ancor più rovinosa della sua creatura.

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